I luoghi d'infanzia. Da loro arrivano spesso insegnamenti, anche quando torniamo a trovarli a distanza di decenni, Luoghi familiari, luoghi conosciuti, che mutano silenziosi, mostrandosi agili acrobati in un mondo che chiede di adattarsi giorno dopo giorno. Guardo questa cascata che trova posto nei miei ricordi più antichi e che ho la fortuna di andare a trovare spesso, osservandola nella sua evoluzione. Mi trovo a riflettere su un paradosso a cui non avevo mai fatto caso: una cascata é tale solo se costantemente attraversata ed esiste quindi grazie alla sfuggevolezza del suo attore principale, l'acqua. Ci illude sempre di averla colta nella sua interezza mentre la indichiamo con un dito o la imprigioniamo in uno scatto fotografico, che la mostra in un'immobilità che non le appartiene. Senza questo costante accogliere e lasciare andare, trattenuto solo temporaneamente da qualche gelida ma invitante pozza, sarebbe solo un ammasso di rocce, che molto probabilmente verrebbe ignorato. La sua storia é dunque una cicatrice dei passaggi, una firma dei tanti viaggi e dei tanti balzi di acqua passata che forse tornerà, ma forse no. Mi sento come una cascata, nel corpo, nell'animo e in quel che, così misteriosamente, unisce entrambi. Sono un semplice ammasso di rocce. Sono l'acqua che scorre. Sono entrambi e anche di più. Sono la paziente erosione e l'incessante susseguirsi di vortici. Sono il vigore dopo il disgelo e la penuria in un'estate davvero troppo calda. Sono la testimonianza dei tanti torrenti di emozioni che mi attraversano e dei rivoli di esperienze che modellano senza sosta il mio approccio alla vita. Sono il letto di pietre e sassi in cui trovano sfogo fiumiciattoli di ricordi, che si arricciano fino a valle, ricordandomi da dove sono venuto ma indicandomi da che parte si trovi il mio destino. Sono la somma dei tanti scorci che compongono un panorama troppo ricco per poter stare in uno sguardo commosso. È un anno che non scrivo, se non per sfogo o per raccogliere sensazioni che non voglio dimenticare. Oggi sento scorrere in me quella vibrante sensazione di creatività che da tanto mancava (e quanto mancava!). Ringrazio questo posto, che anche oggi si concede come silenzioso ascoltatore e fidato scrigno dei miei segreti sussurrati. Il balzo in questo nuovo anno sembra piuttosto ripido e scosceso, ma ho un sapiente maestro davanti a me ad incoraggiarmi. Faccio un respiro profondo, dunque, e provo a mettere in pratica quella frase di Ajahn Chah che lasciai per cinque anni su una piccola lavagna: "trova rifugio nel lasciar andare". E allora, mi lascio andare, questa volta più che mai!
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Monte Torena e cime di Caronella, fotografate da mio papà (Ottobre 2020). "Giorno. Bacio a Lisa".
Questo era il messaggio con cui ogni giorno (da poco più di 5 anni) iniziava per davvero. Faceva parte del suo rituale del mattino: prima la barba, poi il messaggino a tutti, solo allora si concedeva spremuta e caffè. La famiglia era costantemente nei suoi pensieri, nel suo silenzio riservato e malinconico in cui custodiva le sue preoccupazioni, di cui mai ci avrebbe lasciato sostenere parte del peso. Era un uomo di fede, il primo bacio del mattino e l'ultimo prima di dormire erano dedicati al volto di Gesù sulla sua catenella d'oro. Quando smisi di venire in chiesa, so di avergli dato un prolungato dispiacere, ma so anche che proprio a lui devo quell'attitudine alla contemplazione che mi ha permesso di trovare la mia spiritualità, il mio modo di sentire la vita. Adorava la natura, le piccole gemme di unicità di cui mi mandava qualche foto, quasi a condividere un entusiasmante tesoro. Il fiore di una camelia, una lucciola nel buio della sera, qualche strano insetto o ancora i balestrucci che danzavano in cielo sullo sfondo maestoso delle Orobie Valtellinesi. A volte voleva semplicemente sapere che uccello avesse appena visto, e io ero strafelice di poterlo aiutare: un codirosso, un fringuello o un pettirosso. I suoi occhi erano spesso orientati verso il giardino. Eravamo molto diversi eppure con dei punti di contatto molto speciali. Entrambi abbiamo perso il papà prima di diventare papà noi stessi. Ci piaceva mangiare i pizzoccheri, bere del buon vino rosso e guardare i gran premi di Formula 1. Quando queste tre cose avvenivano nell'arco di poche ore, pareva di uscire dal tempo e dallo spazio, in una dimensione che era solo nostra. Aveva un cuore immenso, preoccupandosi che ogni mio viaggio (di lavoro e non) andasse bene. Quando dei clienti si prendevano cura di me (invitandomi a cena o portandomi in giro) mi chiedeva di salutarli e di ringraziarli da parte sua, perché qualcuno si stava prendendo cura del suo Ale. Forse gli portava alla memoria le preziose amicizie che ha costruito nello Yemen, in Congo e in Kenya prima che io nascessi. Chissà perché, le culture più lontane a volte sono quelle più amiche. Ultimamente parlavamo di meno, ci spazientivamo abbastanza presto, ma avevamo il nostro modo di comunicare e dirci quanto fossimo importanti l'uno per l'altro: email, bigliettini scritti a mano e i suoi commenti sul mio sito personale. Questi, in particolar modo, rappresentano ancora adesso fugaci parole che mi inondano di tutta la sua stima ed incredulità per quel che avevo scritto in un articolo. Era il mio primo tifoso, sicuro che potessi fare qualsiasi cosa. Potrei raccontarvi molto altro, delle finte lotte sul tappeto quando ero piccolo, della ditta che ha fondato e che ha reso una seconda famiglia, per i suoi dipendenti e per me che adoravo andarci. Ma ho preferito parlare dei ricordi più vivi, degli ultimi anni, in cui la sua fragilità é aumentata, così come é cresciuto il suo amore per la sua famiglia. Un amore straripante che ancora ci avvolge. Avevamo ancora tanti progetti insieme, soprattutto per la casa in montagna, il nostro amato nido di pace. Li porterò avanti come meglio potrò, consapevole che papà ("Il Nando", come lo chiamavano) più che essere volato in cielo o da qualche parte, è diventato ancor di più parte integrante di questo corpo che lui stesso ha messo al mondo. Non dovrò guardare lontano per cercarlo, semplicemente dentro di me e dove il rosso dei tramonti andrà ad accarezzare il Monte Torena e le cime di Caronella. Un ultimo pensiero va alla donna che ha sposato. Anche in questo é stato speciale, scegliendo con una lungimiranza unica una moglie fedele, una cuoca spettacolare e una mamma che potesse esserci sempre per i suoi figli. Questi sono solo alcuni dei ricordi e dei pensieri che volevo condividere con voi, che siete qui a salutarlo. Vorrei chiedervi, quando vorrete e se vorrete, di raccontarmi i vostri ricordi di papà. C'è tanto che ancora non so e vorrei continuare a conoscerlo tramite le tracce che ha lasciato in voi. Non so come terminare questo mio monologo, che sembra voler rimanere aperto, come questi ultimi giorni in cui non abbiamo ricevuto il suo messaggio che mandava verso le dieci di sera. Forse é questo l'unico modo per chiudere a dovere. E allora "Notte. Bacio a Lisa" Mi è capitato di soffermarmi, forse per la prima volta in questi termini, su un affascinante paradosso. Quando mi siedo a un tavolino di un bar, a mangiare qualcosa, mi capita spesso di chiedere acqua fredda frizzante, ben immaginando a che temperatura arriverà, quella del frigo (grado più, grado meno). C'è di certo una pretesa, dietro questa richiesta e al fatto che vogliamo l'acqua come altrimenti non sarebbe. Quando chiediamo acqua a temperatura ambiente, invece, la pretesa è un po' meno forte, c'è un'implicita accettazione della temperatura in cui bene o male siamo già immersi in prima persona. Da qui il vero affascinante paradosso a cui mi riferivo: la "temperatura ambiente" varia, non si lascia catturare con un numero ben preciso, eppure con quest'espressione sappiamo esattamente a cosa ci riferiamo. La temperatura dell'acqua a temperatura ambiente è infatti semplicemente l'unica che quell'acqua avrebbe mai potuto assumere, senza sforzi di alcun tipo, probabilmente mentre se ne stava sotto qualche sottoscala, lasciata al suo destino. Quando raffreddiamo o scaldiamo l'acqua, per sentirci più dissetati o per coccolarci nelle fredde giornate di inverno, di fatto la spostiamo da quella logica e spontanea situazione, snaturandola, per adeguarla al nostro desiderio o a qualche personale preferenza. E non è che ci sia qualcosa di male. Questa piccola riflessione, tuttavia, mi ha rivelato una piccola metafora (che, come spesso accade, coinvolge l'acqua) di noi stessi e di come reagiamo alle situazioni, immersi nel nostro contesto sempre mutevole e da cui spesso scappiamo. "Che giornata grigia, vorrei del sole" "Che rumore fanno i vicini?! Non c'è mai pace" "Non mi va di andare a quell'appuntamento" "Oggi avrei preferito stare da solo" Tutte stuazioni in cui, invece di ambientarci come l'acqua, proviamo a cercare rifugio in qualche stratagemma che cambi la natura del contesto, la sua "temperatura", se vogliamo. Scappando dal disagio ci illudiamo quindi di aver trovato la gioia, non sapendo quanto sia effimera e temporanea questa ventata di freschezza. Voltando le spalle a un fastidio, infatti, rinforziamo la difficoltà di accoglierlo meglio la prossima volta. In tanti cadono in un malinteso, che vede l'allontanamento di quel che non si vuole, e l'appropriarsi di quel che si desidera, come il cuore della vera gioia. In questo modo, passiamo la gran parte della nostra vita a cercare quello che ci fa stare bene, e a liberarci di quello che non ci va. Ovvero, siamo costantemente alla ricerca di qualcosa e in fuga da qualcos'altro. La serenità, invece, sta nel trovare un equilibrio nonostante tutto. Questo non significa che non siamo autorizzati a "desiderare" o ad "evitare", ma che quando non otterremo l'uno o l'altro nulla ci vieta di riconfigurare la nostra esperiena in maniera sana e saggia. Il nostro radicamento nella realtà passa da un'immersione totale nel contesto in cui viviamo. In questa ultima frase, e me ne rendo conto dopo averla scritta, radicamento e immersione richiamano alla mente due baluardi di fierezza e sconfinatezza, ovvero l'albero e, ancora una volta, l'acqua. Fieri e stabili come un albero, che non ha altro contesto a disposizione della terra in cui è nato. Sconfinati e ondeggianti come un oceano, che si estende in ogni direzione ma senza legarsi a un posto preciso. Come alberi e oceani, possiamo anche trovarci in balia del vento, ma solidali al contesto e aperti all'eterno mutamento dello stesso. Come acqua a temperatura ambiente, calma e disponibile, ci possiamo godere la straordinaria ovvietà della sorprendente meraviglia che ci circonda. Magari sorseggiando una birra gelata. Un albero in fiore ad Aprile, apparentemente tradito da un ultima nevicata inattesa, in una delicata convivenza primaverile. "Quando facciamo zazen (meditazione seduta) la mente segue sempre il respiro. Quando inspiriamo, l’aria entra nel mondo interno. Quando espiriamo, esce fuori nel mondo esterno. Il mondo interno è illimitato, e così pure il mondo esterno. Noi diciamo “mondo esterno” e “mondo interno”, ma in realtà c’è un solo mondo e basta, indivisibile. In questo mondo illimitato, la nostra gola è come una porta che si apre e si chiude, L’aria entra ed esce come chi attraversi una porta che si apre e si chiude. Se pensate: “Io respiro”, l’”io” è di troppo. Non esiste niente in voi che possa dirsi “io”. Ciò che chiamiamo “io” è soltanto una porta che si apre e si chiude quando inspiriamo ed espiriamo. Non fa altro, tutto qui. Quando la mente è sufficientemente pura e calma da poter seguire questo movimento, non c’è più niente: né “io”, né mondo, né mente, né corpo; soltanto una porta che si apre e si chiude". Shunryu Suzuki-roshi, “Mente zen, mente di principiante“ Dal Bocchel del Cane alle Pleiadi. La stretta parentela tra stelle e montagne. Escludendo le prime vere escursioni montanare, quelle inesperte e male affrontate, c'è un solo posto che associo ad un'estrema fatica e al timore di aver esagerato. Un luogo che prende il nome di Bocchel del Cane. Era l'estate di un paio di anni fa, e la mia passione per i valichi e i passi, soprattutto quelli piccoli chiamati "bocchette", mi ha fatto prendere un sentiero a sinistra, dopo il Lago Pirola, in Valmalenco. A destra avrei chiuso comunque un anello, in modo da non tornare sui miei passi, ma a sinistra avrei visto un altro lago, e sarei passato per la bocchetta. Mi sono fatto forza e ho fatto la mia scelta. Il sentiero era ripido e insidioso, con massi grandi forse come stanze che a volte richiedevano l'uso delle mani per avere la necessaria stabilità. Credo di averci messo più di un'ora: ad ogni passo le gambe mi comunicavano un po' di fatica in più, e mi chiedevo se avessi fatto la scelta giusta. Arrivato stremato all'ultimo tratto, la ghiaia e il sentiero poco tracciato hanno succhiato tutta la mia concentrazione. Mi pareva di non averne più, come un'arancia senza alcun nettare rimasto da spremere. L'arrivo alla bocchetta, alla fine, ha portato comunque quell'indescrivibile connubio di euforia mistica e di sollievo commovente che solo un'escursione in solitaria sa dare. Il lago Pirola era magnifico da lassù, con un panorama che includeva la vedretta del Ventina, il pizzo Cassandra e il monte Disgrazia, ma il vento freddo e i tanti chilometri rimanenti mi hanno tenuto vigile e forse mi hanno impedito di godere appieno del momento. Ero stanco, molto stanco, ma sapevo che ce la potevo e dovevo fare. Quel giorno sono arrivato all'auto sfinito, con tanti insegnamenti in più. Ma nessuno che mi faceva davvero pentire del percorso scelto. L'anno scorso sono tornato al lago Pirola, in dolce compagnia. Non sono tornato alla bocchetta, ma l'ho indicata alla mia preziosa compagna di camminata (e di vita). Ho rivissuto nei pensieri quel percorso di massi, sentendo che il mio corpo era tornato in un posto a lui caro. Settimana scorsa ho rivisto ancora una volta la bocchetta, ma stavolta dal lato opposto a quello che conoscevo: mi é sembrata di conoscerla un po' di più. Mi ci sono voluti un confronto fotografico e una mappa per individuarla senza dubbi, ma ora saprei puntare il dito senza esitazioni, come potrei indicare la costellazione di Orione o le Pleiadi. Questa similitudine mi ha fatto riflettere: i nomi dei passi, dei laghi e delle cime, sono spesso incomprensibili ma pieni sicuramente di un senso ancestrale, come le costellazioni. Le stelle richiamano ai miti, agli eroi, allo zodiaco. Le montagne alle tradizioni popolari, alle vicende degli esploratori o alle storie del posto - chissà. Il cielo e i monti sono mondi diversi, ma diamo loro nomi con scopi simili, credo: renderli meno distanti, meno paurosi e, forse, per stabilire un rapporto vivo e diretto. In questo modo, infatti, le imponenti sagome dei monti e le luci lontane che adornano la notte, perdono un po' del loro mistero, sono quasi a portata di mano, e finiscono per essere una recinzione protettiva piuttosto che un mare in cui perdersi. C'è probabilmente la stessa necessità nel misurarle e nel dare loro un valore numerico, che siano metri sul livello del mare o anni luce. Cerchiamo di dar loro un valore di riferimento, perché siano poi un riferimento per noi. Una bocchetta mette in collegamento due valli, dando respiro alle speranze del camminatore. Una stella può dare una rotta, diventando una bussola per chiunque si sia smarrito. Ho avuto la fortuna di dormire lassu', tra i monti, in una notte senza luna in cui i monti hanno abbracciato il cielo.
Mi sentivo allo stesso tempo spaventato dall'immensità e parte integrante di quella stessa vastità. Perso e ritrovato. Le montagne, vicine, sembravano irraggiungibili. Le stelle, lontane, parevano afferrabili a manciate. Ogni volta che punto il dito verso una cima o una stella, verso una bocchetta o un pianeta, mi onora poter chiamare tutto questo per nome. Mi sembra di trovare un sasso a cui appoggiarmi, un bastone a cui affidarmi, un appiglio a cui tenermi saldo, mentre mi godo la carezza di questa illusione che sa di magia. Questo articolo, e le sensazioni che mi hanno portato a scriverlo, sono frutto di un'indagine che il 2020, con le sue sfide uniche, ha portato. Molto é partito dalla voglia di prendere decisioni concrete e più consapevoli nell'ambito dei servizi e degli strumenti che uso quotidianamente, decisioni che si sono in parte concretizzate grazie a questa guida, Il "motore" di questa indagine é stato alimentato dalla voglia di libertà e verità e dallo scetticismo verso i principali canali di comunicazione, che non possono ormai più contare sul mio tempo. Un ringraziamento particolare và ai progetti opensource (uno su tutti Tutanota) che hanno aperto i miei occhi a un mondo affascinante e possibile, nonché a un nuovo modo di interpretare il volontariato, nella giungla di internet e della connettività globale. Questa riflessione ha un sapore diverso da quelle l'hanno preceduta su questo sito, ma non per questo mi rappresenta di meno.
Tutto é cominciato dalla situazione in cui ci troviamo da inizio anno, ma paradossalmente lo stimolo a scrivere è arrivato da qualcosa di tanto insignificante quanto un annuncio pubblicitario intravisto da un bus, verso la stazione. Un errore grammaticale, volontario, a catturare l'attenzione su un prodotto che evidentemente non aveva altre strategie più efficaci. Pur essendo abituato alle menzogne in cui siamo immersi, alle modelle ritoccate al computer e all'utilizzo (improprio) di simboli e luoghi, l'errore grammaticale mi ha dato persino più fastidio degli strumenti più assodati del subdolo mondo della pubblicità e della comunicazione. Quel piccolo inganno a catturare la mia attenzione (dove altrimenti non si sarebbe soffermata), mi ha fatto riflettere più ad ampio spettro sulla situazione in cui viviamo, piena di trucchi meschini che tentano di distrarci e rubarci concentrazione e tempo. E se riescono a farlo con una pubblicità, cosa possono fare su più grande scala (leggi 2020)? "C'é talmente tanta distrazione, oggigiorno, che l'intrattenimento é una delle industrie più floride", mi hanno detto. Triste, ma vero, se si pensa a quante diverse piattaforme di streaming ci sono (e a quanto la maggior parte delle persone fatichi e godere del semplice stare con se stessi, senza avere nulla da fare) Ed é proprio distraendoci che non ci rendiamo conto di come spesso ci vendiamo gratuitamente senza nemmeno saperlo (o facendo finta di non saperlo). Molti hanno caselle di posta elettronica gratuite perlopiù con il dominio che tutti ben conosciamo, in pochi capiscono che "se non paghi per il servizio, diventi parte del prodotto". E così i tuoi dati verranno raccolti e utilizzati per fini che molti nemmeno conoscono, avendo premuto su "Sì, accetto" senza nemmeno leggere e senza nemmeno notare il pulsante per rifiutare. Molti mi dicono allora: "raccolgano pure i miei dati, non ho nulla da nascondere". Eppure non regalano le chiavi di casa a chiunque. Mi dicono poi: "non ho voglia di cambiare email, sai quante iscrizioni dovrei modificare?". Eppure, dopo che sono entrati i ladri, cambierebbero ogni serratura di casa. Ci sono sempre più cose che rendono la vita più semplice e che per la verità nascondono minacce. Password sempre uguali... foto sincronizzate nel cloud gratuito... telefoni che si sbloccano col riconoscimento facciale. Credo, a questo punto, che non vedendo il rischio concreto, abbiamo lasciato trionfare pigrizia e comodità su riservatezza e intraprendenza. Qualsiasi pastore riparerebbe la staccionata per evitare la minaccia di un lupo al pollaio. Non lascerebbe mai la porta aperta! Perché facciamo entrare il lupo nel pollaio, allora? Ed ecco l'obiezione più frequente, arrivati a questo punto: "è un argomento troppo complesso, perché me ne possa occupare io, quindi lascio perdere". Touché! Questo é vero, e la complessità é spesso voluta dai poteri forti, in modo da incentivare questo tipo di atteggiamenti e scoraggiare quel minimo di ricerca che aiuterebbe a sapere di più. Dopotutto, penso che l'ignoranza non sia mai stata un'utile strategia di sopravvivenza, piuttosto soltanto una stretta di mano alla pigrizia e all'indifferenza. E, come immaginerete, non sono solo i servizi internet ad ingannarci. La tecnologia permette ormai a chiunque di essere intonati, di pubblicare foto sembrando professionisti, e di apparire esperti di qualsiasi determinato argomento. Ma l'autenticità rimane sempre indissolubilmente legata alla dedizione, all'impegno e alla forza di volontà, e non a quanti "mi piace" vengono raccolti. In un foglietto trovato a terra, ho trovato questa frase: "ogni essere umano ha la capacità innata di essere maestro di se stesso". E perché allora lasciamo che così tanti aspetti della nostra vita vengano controllati da altri? Se ci fate caso, tutto é più veloce al giorno d'oggi, più semplificato e più fruibile. Ma il risultato é drammatico. Non si ha più voglia di conoscere e capire, ma solo di finire in fretta e scansare i problemi. Negli anni 60 e 70 si ascoltavano canzoni in cui il ritornello appariva dopo minuti, le introduzioni si prendevano i loro tempi e le parti strumentali esponevano talento e sentimento di chi aveva qualcosa da dire. Oggi si sentono (per la maggior parte) i soliti ritmi, i soliti tre accordi, in un tripudio di mediocrità finalizzata al profitto. Abbiamo impiegato milioni di anni di evoluzione per diventare gli esseri viventi più complessi e affascinanti ma abbiamo impiegato qualche decina di anni per sacrificare libertà, consapevolezza ed unicità. Già, unicità. Siamo tutti unici e bizzarri, anche se cercano di annegarci nei grandi numeri con cui tanto vogliono analizzarci, profilarci e - visto il periodo - condizionarci per farci accettare scelte discutibili. Dopotutto, è una strategia affermata da secoli quella per cui scelte scomode e impopolari possono essere digerite meglio a fronte di minacce abilmente strumentalizzate. Non vorremo essere da meno proprio ora? Ma basta con le polemiche amare. Non tutto é perduto, questo é quel che conta. Tuttavia bisogna desiderare il cambiamento in prima persona, altrimenti lunga vita alla grande massa e a chi la vuole controllare, con le comodità che il "lasciar fare" agli altri concede. Ma se vogliamo uscire dalla trappola di questo inganno, iniziando a mettere in dubbio quello che arriva a noi in maniera stranamente troppo facile, allora serve dedizione costante, impegno genuino e attenzione vigile. Siamo tanti su questo pianeta, ma non per questo dobbiamo aver paura di valutare se una scelta ci rappresenti o meno. E' faticoso, ma ciò permette di riprendere in mano il controllo del proprio ruolo nella società moderna. E badate bene: non si tratta di iniziare inutili lotte o giudicare quel che fanno gli altri, ma di aprire gli occhi verso tutte le possibilità che ci sono, e non soltanto a quelle più comuni. Iniziare é il passo più difficile. Ma non vi basterà più vivere, quando comincerete ad esistere. Riflessioni sulla vita, grazie a scorci su valli, montagne e volte celesti. - Bisognerebbe vivere come la polvere, con la sua velocità e la sua pazienza. Bisognerebbe adagiarsi con ineccepibile ed equanime uniformità su ogni superficie, su ogni istante, con quella vigile arrendevolezza in cui le foglie sono tanto maestre. Osservo il Monte Torena, avvolto tra le nubi, i suo abbondanti 2900 metri spariscono dall'orizzonte, inghiottiti da un soffice (ma a tratti vorace) biancore. Come deve essere lassù, per quella cima? E per me? Immagino la vetta come fosse una creatura umana, isolata, nella sua temparanea cecità, avvolta da una nebbia che prima porta smarrimento, e poi lascia lentamente spazio a un'introspezione più sottile. Fa freddo e mi sento solo - immagino - tutto è bianco e non ho un riferimento, se non me stesso. Una frazione di secondo, e la carezza fugace del vento umido sulle guance riporta alla silenziosa calma che c'è sotto le lenzuola prima di dormire, e al profumo di casa. Penso che il silenzio non sia mancanza di suoni o un'assenza di parole. É piuttosto quello spazio che si concede alla presenza più cristallina, un portale verso le profondità più minuziosamente decorate dell'esperienza, verso l'affresco della vita, come ho sentito dire. Getto il mio sguardo più in basso, verso le valli che si intersecano e si coricano l'una sull'altra. Appaiono come le soffici rughe dei millenni, antiche ma rigogliose, e mi ricordano di un nonno su un dondolo a raccontare storie, di una nonna che invita a meno schiamazzi, alla tranquillità. Alzo poi gli occhi alla volta celeste, mi pare spontaneo farlo, e la fitta nel collo mi ricorda quanto sia corporea e incarnata questa vita. Mi chiedo se la via lattea, con la sua eclatante e vasta pennellata biancastra, non sia altro che un diversivo, a distogliere l'attenzione dalla guancia arrossata di un cielo immenso che non sa come celare la sua nudità. Mi commuovo e per un istante provo compassione per le stelle. D'un tratto, tutto mi appare a portata di mano. Le distanze cadono, perdono sostanza e forma, come lenzuola rapite dal vento e che qualche molletta non ha saputo trattenere. L'universo si fa quartiere, non lo percepisco più come inafferrabile, piuttosto come un area troppo grande da essere coperta nelle mie mappe dei sentieri. Questo sì. Camminare qui, dove sono ora, è già camminare nell'universo. Nel piccolo spazio di terreno che occupo, ci sono solo io ma anche tutto quanto, in un punto di singolarità che fonde zero ed infinito, il miracolo e il mistero. La paura e l'euforia. Bisognerebbe vivere come la polvere: ignari della propria origine, entusiasti del proprio percorso, ospiti del proprio avvenire. Stupefatti, per il semplice fatto di esserci. "Benchè i piedi dell’uomo non occupino che un piccolo spazio sulla terra,
è grazie a tutto lo spazio che non occupano che l’uomo può camminare sulla terra immensa" (Zhuangzi) (ITA only) Un periodo raro, molto raro. Se da un lato poco si saprà mai sulle cause, molto abbiamo sperimentato sulle conseguenze. Ho visto persone reagire nei modi più diversi e ho cercato (faticando) di lasciare le mie opinioni da parte: "ognuno é fatto a suo modo", mi sono ripetuto più volte. Nonostante questo, mi sono concesso di osservare il vasto spettro di atteggiamenti che questa grande ondata di incognite sta generando. Un vasto spettro ma diviso in due macro-mondi, un popolo tagliato in due da un grande scisma. Chi vive il periodo come una preziosa opportunità che ancora non ha sfruttato appieno e chi come una minaccia da debellare al più presto. Chi lo sfrutta per mettere in campo reazioni e comportamenti nuovi, e chi si é fatto cogliere impreparato, facendo acutizzare le vecchie e già note strategie che non funzionavano prima, figuriamoci ora. Chi ha paura, e chi non ne ha per nulla. Qualcuno troverà il modo di sopravvivere e reagire, altri di vivere e rispondere. I primi continueranno a concentrarsi sulla cornice del quadro, ossessionati dal contesto che li circonda, i secondi riporteranno la concentrazione sul dipinto, sulla loro esistenza e su come essa si può riconfigurare e adattare di fronte alle sfide del mondo. Una comunità di essere umani deve promuovere il rispetto delle diversità e un confronto etico di idee, anche in un contesto dove la paura e le opinioni corrono a briglia sciolta, senza controllo. In questa ottica ho voluto raccogliere 4 testi molto diversi, su 4 argomenti molto diversi, da 4 fonti molto diverse, che trovano un campo di applicazione molto valido tanto in questo periodo speciale, quanto nella vita in generale. Spero che diventino fonte anche della più minuscola briciola di ispirazione... ...in questo periodo raro, molto raro. Come la vita, del resto. Il mistero della bellezza, la verità e la realtà, sono la stessa cosa. Sono elementi che abbiamo rappresentato con forme d'arte sin dall'inizio ma rimangono elusivi. Pensiamo a loro come all'ignoto. Dobbiamo guardare le nostre menti, perchè lì è dove possiamo osservare la nostra crescente consapevolezza della realtà. Quando capiamo che è la realtà che vogliamo, allora i nostri piedi si ritrovano sul sentiero. (dagli appunti di Agnes Martin) - “È facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine*, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta dolcezza l'indipendenza della solitudine* ” - (Ralph Emerson - Essays (1841)) (* solitudine intesa come "lo spazio di armonia con se stessi", e non necessariamente come "mancanza di contatto con altri", ndr) Perché ci sentiamo tanto feriti nel momento in cui capiamo di non essere così importanti? Non sarebbe meglio considerarlo un avvenimento fondamentale, un'illuminazione? Ciò che chiamiamo "credere", in fondo, è un'azione che inizia dentro di noi e bisogna credere nella separazione tanto quanto crediamo nella bellezza e nell'amore, ed essere anche preparati, perché al termine di ogni cosa bella c'è sempre una separazione. E se così, allora perché non interpretare queste disgrazie come catastrofi costruttive, che ci permettono di affrontare ciò che non conosciamo? Non trovi? (Dal film: "L'albero dei frutti selvatici") - Domanda di un fan
Ci sono situazioni in cui dare valore a un'opinione altrui, può essere considerata una cosa utile e sana? Risposta di Steve Vai Sì! Ce ne sono molte! Ma solo tu puoi scegliere se l'opinione che stai ricevendo é autentica e se risuona con te, se dentro quell'opinione c'é qualcosa che ti fa dire "mh, c'è un punto interessante in quel che dice". E lo facciamo sempre. Se guardiamo bene, tutto quello che dico io stesso può essere considerato un'opinione, e potreste trovare informazioni utili in alcune di queste, e questo é un approccio sano. L'approccio non-sano arriva quando prendi qualcosa a livello personale, per opinioni di altri su abbiagliamento, religione, musica etc. L'opinione degli altri può avere spigoli molto appuntiti. Questi spigoli nelle opinioni altrui, sono la testimonianza della loro paura. Non c'é nulla di male nell'avere un'opinione, ma é pericoloso "adorare" le proprie idee, credere che siano quelle corrette, non solo per te, ma per tutti. Si tratta di una mancanza di fiducia in se stessi. Se una persona avesse fiducia nelle proprie opinioni, non ci sarebbe bisogno di convincere gli altri su nulla. Quando hai fiducia in quel che ti piace, o non ti piace, permetti agli altri di avere una loro idea, senza che ti influenzi quale essa sia, a meno che il tuo "ego" non la prenda a livello personale. Persino idee benigne, che possono essere molto utili, vengono prese sul personale, a volte. Lo dico perché sono io il primo a notare quando lo faccio. E l'unico modo per capirlo e per conoscere gli altri, é conoscere se stessi, levando il microscopio dal mondo e rivolgerlo verso di sè. Quando ti ritrovi ad avere a che fare con un'opinione altrui, da un semplice "mi piace il rosso" al risoluto "il mondo fa schifo e tutti sono degli idioti". C'è stato un momento della mia vita in cui avevo a che fare con persone che promuovevano queste idee, che alla fine sono diventate anche le mie, portando intensa sofferenza. Quando un'opinione altrui arriverà a te, saprai se é possibile trovare un piccolo spazio di presenza mentale, e quindi valutare serenamente se é un commento sano da cui posso trarre qualcosa di buono oppure se é l'insicurezza che l'altro sta gettando su di te. Ma solo tu lo saprai." - (Steve Vai, dalla diretta Facebook "Under it all" del 7 maggio 2020) ITA and ENG (lyrics after the video) Una canzone che mi dona la dose di poesia di cui ho bisogno e che si presta a diverse interpretazioni, come la fase che stiamo attraversando, del resto. Un'espansione che salta a piè pari la compressione della segregazione. - A song that gives some much needed poetry and that is subject to different interpretations, as is the phase we're going through. An expansion that jumps over the compression of segregation Allschwil (CH) - Marzo 2020 -.-.-.-.-.-.-.-.- Cathedrals (music and lyrics by "Jump, little children") tESTO IN ITALIANO
Cattedrali (testo e musica di "Jump, Little Children") All'ombra di alti edifici Di angeli caduti sui soffitti Piume oleose in bronzo e cemento Colori sbiaditi, pezzi lasciati incompleti La fila si muove lentamente oltre la recinzione elettrificata Attraverso i confini tra i continenti Nelle cattedrali di New York e Roma C'è la sensazione che dovresti semplicemente andare a casa E trascorrere la vita intera a scoprire dove si trova - All'ombra di alti edifici L'architettura si sta lentamente scrostando Statue in marmo e divisori in vetro Qualcuno sta osservando tutti i forestieri La fila si muove lentamente attraverso la porta numerata oltre il mosaico del capo di stato Nelle cattedrali di New York e Roma C'è la sensazione che dovresti semplicemente andare a casa E trascorrere la vita intera a scoprire dove si trova - All'ombra di alti edifici Di archi che si inginocchiano infinitamente Paesaggi sonori che fanno eco ai panorami Qualcuno sta ascoltando a debita distanza La fila si sposta lentamente in una luce che sbiadisce Un ultimo momento nel cuore della notte Nelle cattedrali di New York e Roma C'è la sensazione che dovresti semplicemente andare a casa E trascorrere la vita intera a scoprire dove si trova (x2) lYRICS IN ENGLISH
Cathedrals (music and lyrics by "Jump, little children") In the shadows of tall buildings Of fallen angels on the ceilings Oily feathers in bronze and concrete Faded colors, pieces left incomplete The line moves slowly past the electric fence Across the borders between continents In the cathedrals of New York and Rome There is a feeling that you should just go home And spend a lifetime finding out just where that is - In the shadows of tall buildings The architecture is slowly peeling Marble statues and glass dividers Someone is watching all of the outsiders The line moves slowly through the numbered gate Past the mosaic of the head of state In the cathedrals of New York and Rome There is a feeling that you should just go home And spend a lifetime finding out just where that is - In the shadows of tall buildings Of open arches endlessly kneeling Sonic landscapes echoing vistas Someone is listening from a safe distance The line moves slowly into a fading light A final moment in the dead of the night In the cathedrals of New York and Rome There is a feeling that you should just go home And spend a lifetime finding out just where that is (x2) (ITA only) - In tanti dicono quello che dovrei fare, in pochi sanno spiegarmi perchè. Le tradizioni in cui sono immerso sono colonne portanti della società in cui sono nato, difficili da scostare, o troppo fitte per lasciarmi vedere al di là. Tutti sono indaffarati a promuovere le loro idee o ingoiano passivamente quelle degli altri senza protestare. Cristiani, atei, musulmani eccetera: ognuno, a suo modo, è un po' fanatico difensore di principi che spesso chiudono i loro stessi orizzonti, invece di aprirli. Questo, del resto, chiedono i dogmi: una cieca fede nel mistero. Questo, del resto, chiede l'ostinata negazione dei dogmi: un testardo e continuo voltar le spalle a ciò che non può essere spiegato razionalmente. In fin dei conti, penso, credenti convinti ed atei convinti condividono lo stesso identico atteggiamento verso le proprie idee ed opinioni: una difesa a spada tratta poco disponibile alla rivisitazione. E non parlo, qui, dell'accettazione degli altri e delle loro idee, ma di quanto uno sia disposto a ridiscutere quel che ha sempre dato per scontato (o in cui ha sempre creduto) in prima persona. "Mettere in discussione" è un processo faticoso, che male si sposa con la pigrizia di questi tempi moderni. Per molti, poi, rappresenta una sconfitta di cui non vogliono nemmeno sentire parlare: come giustificare un cambio radicale di approccio, dopo 30, 40, 50 anni investiti in tutt'altra direzione? Meglio rimanere saldi a principi sicuri e coerenti, anche se non risuonano con me. Nel mio piccolo, ho potuto osservare un disperato bisogno di ortodossia in diverse tappe del mio percorso: dal cristianesimo che mi ha cresciuto, alla scuola, dal volontariato allo sport, dallo yoga al buddismo di derivazione religiosa (precisazione che ho messo non a caso). Ho visto fanatici in tutte le tappe della mia vita. Ho sentito un sacco di "devi", una moltitudine di "risultati ideali a cui tendere", una serie di "tappe ben definite da seguire", pena il finire fuori sentiero. Non voglio nè classificare tutti come fanatici nè voglio denigrare i tanti lati positivi degli insegnamenti, delle tradizioni e del lavoro di altri che, nei millenni, è arrivato fino ad oggi. Ma ormai il mio naso mi richiama all'attenzione spesso: è disgustosa la puzza di "verità assoluta" impacchettata in codici di comportamento o dogmi in cui credere. Bisogna starci attenti, tutto qui. Ho avuto la fortuna di incontrare tante persone che mi hanno invitato ad un cambio di prospettiva su tanti fronti, cosa non facile considerando che la mia struttura di pensiero e di ragionamento è ancora molto influenzata dalla formazione scientifico-ingegneristica che ho ricevuto. Ma anche un bambino che viene forzato ad assaggiare il gambo del broccolo, può finire col trovarlo squisito (frase quanto mai vera sia per me che per la mia nipotina). Ho capito che l'ortodossia e le sedicenti verità danno sicurezza e stabilità per affrontare quel che non può essere compreso con l'intelletto, ma levano tutto il sapore, il gusto e la meraviglia dell'inspiegabile. Se qualcuno dovesse chiedere, guardando un fiume, di indicare passato e futuro, in molti punterebbero il dito verso il passato a monte, e poi verso il futuro a valle: non può che essere così, da su a giù, questa è la direzione ovvia. O forse quella che pare più accreditata e sicura. Anche su questo, un prezioso libro mi ha svelato uno di questi piccoli (grandi!) cambi di prospettiva: "Cominciai a capire un fatto, e cioè che tutte le cose, per un pesce di fiume, vengono da monte: insetti, rami, foglie, qualsiasi cosa. Per questo guarda verso l’alto, in attesa di ciò che deve arrivare. Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte" (Le otto Montagne - P. Cognetti) Difficile tradurre in parole la dolcezza che queste minuscole scoperte portano. Si tratta davvero di qualcosa di simile al primo assaggio di un frutto che fino a quel momento ti era stato celato. Un po' come andare oltre i libri esposti in vetrina e trovare l'accesso al polveroso magazzino, dove le vere gemme rimangono protette da chi oserebbe scartarle. I veri maestri non ti dicono di non fare questo o quello, ma donano piuttosto strumenti per estrarre il meglio e valutare cosa è utile. Non si vantano della propria conoscenza nè credono di avere tutte le risposte, ma piuttosto insegnano a dare valore alle domande, per aiutare a rispondere (se proprio necessario) a proprio modo. Ma quindi, se davvero posso usare un ruscello come metafora dello scorrere dei miei giorni, allora il modo più adeguato per viverlo è entrarci, con i piedi immersi, a mollo. Sul palcoscenico dell'esistenza. Splash! Sento da valle i ricordi che tornano a me come salmoni che risalgono la corrente. Da monte non so cosa aspettarmi: la dissetante prospettiva di nuovi progetti o l'angoscia delle preoccupazioni? Per quel che ne so, quelle vacche lassù possono anche aver urinato nel ruscello. Non mi importa troppo. Il mio futuro è contaminato da costellazioni di insidie verso cui è utile orientare solo una certa porzione delle mie risorse. Se le dedicassi tutte, perderei gran parte di quel che va in scena ora. Siamo esposti a tante distrazioni, alcune involontarie altre molto strumentali ai fini di altri. Il fatto che tutta quanta la tecnologia e il commercio puntino alla connettività globale, mentre tutti gli strumenti di sviluppo della consapevolezza si dirigono in primo luogo verso il nostro interno, dovrebbe farci pensare. Ma è proprio questo "pensare" che richiede innanzitutto di mollare la presa sulle convinzioni che appaiono solide e certe. Tante volte i vicini a cui non parliamo sono portatori di verità molto più di quanto lo siano i telegiornali. Poveri noi: a momenti ci fidiamo più delle previsioni del meteo, che del tempo che c'è realmente. "Mettere in discussione" non significa "essere indifferenti", ma piuttosto aprire le nostre percezioni verso quella curiosità tipica dei bambini, verso il loro "voler guardare dentro le cose", imitando, scoprendo, toccando la vita con mano. Sarò sempre grato alle crisi che ho vissuto e ai maestri che mi hanno accompagnato da una tappa all'altra, soprattutto quelli che mi hanno dato compiti e strumenti, invece che regole da imparare e verità da digerire. Per sentire la vita che scorre, bisogna entrarci dentro, non c'è altro modo, piedi a mollo. Qualche giocoso mulinello, arriva alle mie caviglie dopo soffici acrobazie che guidano i miei occhi come burattini. Con sollievo, riscopro che il solletico è un modo molto immediato per tornare nell'unico momento in cui vivo, quello in cui sto respirando. Sento le caviglie, euforiche, scompisciarsi dalle risate. -.-.-.-.-.-.-.- "Son seduto sul molo nella baia Guardando le onde che rotolano via Son semplicemente seduto sul molo nella baia sprecando il mio tempo" ITA only (ENG: this post is a direct translation to italian of the beautiful article at this link, allowed by Martine Batchelor - merci Martine!). - Quella che segue é una traduzione pressoché letterale (e autorizzata dall'autrice Martine Batchelor) del meraviglioso articolo pubblicato a questo link. Le "dieci icone del bue" descrivono il percorso di addestramento Zen all'illuminazione, con immagini popolari accompagnate da poesie e commenti. Descrivono un giovane mandriano la cui ricerca lo porta a domare, addestrare e trasformare il suo cuore e la sua mente, un processo che è rappresentato dalla sottomissione del bue. Anche se queste immagini sono presentate in una sequenza, Martine Batchelor ci mette in guardia dal pensare che lo sviluppo personale e la pratica Zen vadano in linea retta; il percorso é più simile ad una spirale lungo la quale ritorniamo alle diverse tappe ma con più comprensione. Queste 10 illustrazioni (in diverse forme ed interpretazioni, ndr) adornano le pareti dei templi Zen in Cina, Corea e Giappone. Il seguente commento di Batchelor è tratto e adattato dal suo libro "Principles of Zen" (Thorsons / HarperCollins). I brevi testi prima di ogni illustrazione sono versi poetici di Master Kusan, stampati per la prima volta nel suo libro "The Way of Korean Zen". Il maestro Kusan fu l'abate del monastero di Songgwangsa vicino alla città di Kwangju, in Corea. Le illustrazioni sono di Jihihara Sensei, dalla collezione del 1982 esposta nel monastero Zen Mountain Monastery. 1. Alla ricerca del bue Alte montagne, acque profonde e una fitta giungla d'erba Per quanto ci provi, il modo di procedere rimane poco chiaro! Per alleviare questo senso di frustrazione, ascolta il frinito delle cicale. In questa foto, il giovane mandriano sembra un po' perso. Sta cercando qualcosa, ma non è nemmeno sicuro cosa. Rappresenta lo stadio in cui non abbiamo ancora iniziato il cammino spirituale, ma ci sentiamo in qualche modo a disagio ed insoddisfatti. Ci sono deboli trambusti dentro di noi. Pensiamo che se avessimo abbastanza "cose" materiali, allora saremmo felici. Vorremmo avere una casa con un bel giardino o abbastanza soldi per comprare qualunque cosa ci piaccia. Ma nulla sembra soddisfarci completamente, per portarci quell'elusiva felicità duratura. Forse speravamo che una relazione stabile potesse darci quella felicità, ma è molto difficile trovare la persona giusta o essere la persona giusta, pienamente amorevole e tollerante. Anche se troviamo qualcuno, scopriamo che una persona non può soddisfare tutti i nostri bisogni, desideri e speranze. Una degna occupazione o un lavoro ben pagato possono darci sicurezza, ma ancora una volta questi coprono solo parzialmente la nostra vita. Insomma, tutto questo ci dà solo una felicità effimera. Sembra che manchi qualcosa. Siamo come il mandriano nella foto. C'è un ruscello rinfrescante, splendidi alberi, farfalle colorate e un meraviglioso canto degli uccelli, ma non è ancora soddisfatto. Come noi, cerca con ansia qualcosa: pace interiore, appagamento, chiarezza. 2. Vedere le impronte Un groviglio di cespugli spinosi: il debole mormorio dell'acqua corrente. Ma qua e là ci sono impronte: è questa la strada giusta? Se vuoi perforargli il naso e legarlo, non fare affidamento sulla forza di qualcun altro! In questa immagine, il mandriano vede finalmente alcune impronte. Rappresenta il momento in cui decidiamo di fare qualcosa per risolvere la nostra insoddisfazione. Cerchiamo qualcosa attorno a noi. Discutiamo di filosofia, leggiamo di psicologia e di vari stati di coscienza. Sentiamo parlare di meditazione e buddismo o Zen. Potremmo avere un amico che sta praticando o potremmo ascoltare un discorso di un insegnante di Zen. Ci piace l'idea di liberazione e risveglio o la stravaganza di un koan. Siamo attratti dalle storie Zen ma qui ci fermiamo. Abbiamo solo letto qualcosa a riguardo e quindi, i cambiamenti sono molto piccoli; continuiamo a patire le stesse sofferenze e gli stessi disturbi e mettiamo in pratica gli stessi schemi negativi. Leggere o ascoltare di Zen non farà una grande differenza nelle nostre vite. L'altra domanda che questa immagine solleva è: le impronte sono vecchie o nuove? Questo insegnamento e questa meditazione Zen sono rilevanti per noi, adesso, o lo sono solo per gli antichi maestri Zen in Cina? 3. Vedere il bue Tra i rami di salice che ondeggiano nella brezza primaverile canta un rigogolo. Come può il passero sperimentare la sua gioia mentre chiama la sua compagna? Non vi sono forse barlumi di luce lunare nella foresta, mia dimora? Qui, il mandriano ha finalmente visto il bue mezzo nascosto tra gli alberi. Questa immagine rappresenta lo stadio in cui finalmente decidiamo di fare davvero qualcosa. Non siamo ancora del tutto sicuri di quale sia il metodo migliore e di cosa esattamente dobbiamo fare. Quindi proviamo diversi approcci. Una settimana visitiamo un tempio, un'altra settimana parliamo con un insegnante. Continuiamo a leggere libri per trovare un buon modo per praticare. Potremmo anche provare la meditazione e non appena ci sediamo per un po' sperimentiamo un po' di pace. Ci rendiamo conto che si tratta di un'attività che possiamo fare da soli e che ci fa stare bene. Potremmo anche provare a coltivare dei precetti ed essere così più innocui, generosi, disciplinati, onesti e chiari. Cominciamo a capirne il senso; acquisiamo familiarità con le idee non solo a livello intellettuale ma anche a livello esperienziale. Pensiamo di aver trovato qualcosa e ne siamo molto entusiasti. 4. Catturare il bue Avanzando con difficoltà; il naso del bue è trafitto. Ma la sua impetuosa natura è difficile da domare. Trascinato qua e là, vaghi per foreste coperte di nuvole. Il mandriano ha finalmente catturato il bue con una corda. Ma il bue non ne vuole sapere di essere domato. Il mandriano si tiene forte mentre il bue salta ferocemente e lo trascina qua e là. Quando iniziamo a meditare, ci sentiamo come il mandriano in questa situazione. Ci viene data una serie di istruzioni e pensiamo che seguirle non sia poi troppo difficile. Catturare il bue non è stato difficile ma contenerlo richiede molta energia e forza. Allo stesso modo, sedersi seguendo un determinato metodo é di per sé facile, ma applicare le istruzioni per un certo lasso di tempo è quel che richiede grande determinazione e forza. Non appena ci sediamo, la mente è invasa da pensieri, ricordi e piani, e il nostro corpo non è a suo agio. Iniziamo ad avere dolore alla schiena, poi alle ginocchia, ed ecco che persino le nostre guance iniziano a prudere. Proviamo varie posture. Vogliamo dimenticare il passato o il futuro, ma tornano molto rapidamente a farci visita. Come il mandriano, dobbiamo rimanere saldi e tener duro. Ci sono molti ostacoli: irrequietezza, sonnolenza, sogni ad occhi aperti, ecc. Dobbiamo renderci conto che negli ultimi venti, trenta anni abbiamo coltivato molte abitudini che hanno favorito le distrazioni e quando meditiamo ci scontriamo con tutte queste abitudini. Ci vorrà del tempo prima di sciogliere la loro presa. 5. Tendere il bue Temendo che possa precipitare in qualche fosso o lungo qualche pendio, Lo tieni stretto aiutandoti con la frusta e la briglia e con la tenacia di entrambe le gambe ti aggrappi saldamente il terreno. Superato questo momento critico, il bue ti segue. In questa immagine, il mandriano controlla delicatamente il bue che non è più selvaggio. Camminano l'uno accanto all'altro e l'uomo tiene la corda molto allentata. Dopo aver tenuto duro e sostenuto la pratica per un po', diventa più facile. Siamo più a nostro agio con la postura. Riusciamo a sederci e a restare fermi senza sentirci irrequieti. Non combattiamo più con il nostro corpo e la nostra mente e manteniamo la concentrazione per un certo periodo di tempo. Abbiamo acquisito un po' di tranquillità e un po' di chiarezza che ci aiutano nella nostra vita quotidiana. Il mandriano tiene ancora la fune allentata perché sa che nonostante la lotta sia finita, rimanere vigili è fondamentale. Il bue sembra sottomesso ma potrebbe scattare in qualsiasi momento. Per praticare lo Zen dobbiamo essere fiduciosi ma anche consapevoli che non si deve diventare arroganti. Potremmo pensare di conoscere lo Zen a 360 gradi, ma in ogni caso abbiamo ancora bisogno di determinazione e disciplina per contrastare le potenti distrazioni. Questa immagine rappresenta una fase di maturazione e di crescita caratterizzata da cura e attenzione. 6. Cavalcare il bue verso casa Seduto a cavallo del bue, la nobile persona ritorna felicemente verso casa. I suoni del suo flauto si mescolano al cielo cremisi: ha scoperto il giardino della gioia. Chi altri potrebbe conoscere questo gusto infinitamente piacevole? La corda se n'è andata. Il mandriano siede tranquillamente sul bue suonando il flauto. Il bue sa dove andare senza che gli venga detto. Questa è un'immagine che trasmette agio, svago e libertà. Alcune persone credono che lo Zen sia molto severo e serio o che per essere spirituali si debba essere cupi, pessimisti o indifferenti. Al contrario, mentre avanziamo nella pratica, scopriamo che ha più a che vedere con gioia e creatività. Cominciamo a prenderci meno sul serio e ci godiamo la vita nell'aprirci alla sua natura mutevole e fluttuante. Balliamo e cantiamo con la vita. Si instaura un rapporto di amicizia con il nostro corpo e la nostra mente. Questa immagine ci mostra anche che c'è spazio per la creatività nello Zen. Quando accettiamo noi stessi e il mondo, il nostro potenziale si sviluppa, le paure e le insicurezze si dissolvono; e possiamo esprimerci attraverso la musica, la pittura, la poesia, la cucina, il giardinaggio, passando del tempo con bambini o con persone anziane. Tutto ciò che facciamo può diventare un'arte; non è più un dovere; è un modo per esprimere la nostra vera natura. 7. Dimenticando il bue, il mandriano si riposa da solo Luna splendente e vento freddo: che casa splendida! Seduto tutto solo, il bue se n'è andato via. Anche se sonnecchi fino all'alba, a che servono frusta e briglia? Il bue è scomparso e il mandriano riposa da solo a casa. Fino ad ora c'era l'impressione che ci fosse qualcosa da fare, qualcosa da praticare. Permaneva una separazione tra noi stessi e la pratica, un dualismo tra ciò che era spirituale e ciò che non lo era, ciò che era Zen e ciò che non era Zen. In questa fase, ci fondiamo con la pratica, che non è più qualcosa di speciale. Non ha più luogo solo quando ci sediamo su un cuscino o in una stanza particolare. Tutto diventa meditazione. La consapevolezza diventa naturale quanto lo è la respirazione. Siamo in pace con noi stessi, con la mente, il corpo e il cuore, con tutto il mondo. Non abbiamo nemmeno bisogno di richiamarci alla disciplina, perché ora la pratica e la coltivazione dei precetti perdono consistenza. Non dobbiamo "eseguirli": si "eseguono da soli". Come diceva il Maestro Kusan: “Sei tutt'uno con la domanda. È la domanda che cammina, va in bagno, guarda la campagna.” L'innocuità e la generosità giungono naturalmente. In questo stato, non puoi nemmeno pensare di essere scortese o dire bugie. Questo tipo di pensieri non sorge nemmeno. 8. Il mandriano e il bue sono entrambi dimenticati Poiché lo spazio è collassato, come possono rimanere degli ostacoli? Può forse un fiocco di neve sopravvivere in una fiamma ardente? Allegramente vai e vieni: come puoi non ridere sempre? Il bue e il mandriano sono entrambi svaniti. C'è solo un cerchio nero che rappresenta il vuoto. In precedenza, quando ci siamo uniti alla pratica, pensavamo ancora che ci fosse un "io" a praticare. Ora anche questo è andato. Ci rendiamo conto che nulla ci appartiene veramente; possiamo occuparcene solo finché dura. Sperimentiamo anche di non avere un'identità solida e separata. Siamo un flusso di condizioni. Siamo costituiti da tutti i nostri geni, dalla nostra storia, dai condizionamenti sociali, ecc. Chi siamo, se non un insieme di aggregati e fluttuazioni? Non possiamo identificarci con i nostri sentimenti, i nostri pensieri, i nostri beni. Vanno e vengono. Sorgono in determinate circostanze, rimangono un po' e poi scompaiono. Tutto è fatto di condizioni, in continua evoluzione. Non c'è nessun posto dove andare, niente a cui aggrapparsi. Ci siamo liberati di un enorme peso e ci sentiamo così leggeri. Ci rendiamo conto che tutto viene dalla vacuità. Solo grazie ad essa le cose possono cambiare e fluire. La vacuità non è un vuoto, un buco nero, ma la possibilità di infinite trasformazioni. Non c'è più avidità, nè barriere create da noi stessi e dai nostri limiti. La natura di Buddha può risplendere ed esprimersi pienamente. 9. Ritorno al luogo originale Il mio tesoro personale è riconquistato: tutti quegli sforzi spesi invano! Sarebbe stato meglio essere ciechi, sordi e sciocchi. Le montagne e l'acqua sono proprio come sono! E così è anche l'uccello tra i fiori. In questa immagine, l'acqua scorre, i fiori sbocciano e gli uccelli cantano. La pratica non si ferma alla vacuità. Se ci attacchiamo ad essa, potremmo giungere a separazione e isolamento. Dobbiamo andare oltre, rientrando nel mondo in cui "avendo dimenticato noi stessi, siamo stati illuminati da tutte le cose". Comprendiamo l'interdipendenza che è alla radice di tutta la vita. Mentre mangiamo e mastichiamo un pezzo di toast, ci connettiamo con il grano, i germogli verdi, la terra, il sole, la pioggia e apprezziamo gli sforzi di tutte le persone che hanno reso possibile quel pezzo di toast. Quando vediamo un filo d'erba che ondeggia nella brezza, oscilliamo con esso. La nostra vita è ordinaria e così com'è, ma la guardiamo in modo diverso. Ci rendiamo conto che tutto attorno esprime la verità della vita e della consapevolezza, e ci parla. Non siamo più rinchiusi in noi stessi ma completamente aperti al mondo. Non siamo spaventati ma al contrario euforici. Il mondo é noi e noi siamo il mondo. Tutta questa pratica, questo sforzo, per poi puramente renderci conto di ciò che era già sulla soglia di casa! 10. Al mercato, per dare una mano Vestito di stracci e scalzo, ti avvicini al mercato e alle strade. Persino coperto di polvere, perché dovrebbero cessare le tue risate? Le api e le farfalle sono felici perché i fiori sono sbocciati su un albero appassito. Questa foto mostra un uomo un po' pancione vestito di stracci che cammina a piedi nudi portando un sacco pieno di prelibatezze. Quest'ultima fase rappresenta la libertà, la saggezza e la compassione. Non siamo ostacolati dalle apparenze. Ci adattiamo liberamente ai luoghi elevati e a quelli più meschini. Troviamo spiritualità ovunque. La meditazione e la realizzazione non ci rendono passivi ma attivi. Siamo profondamente connessi col mondo; sentiamo la sua sofferenza e vogliamo rispondere e aiutare. Il nostro bagaglio è pieno di gioia, compassione, comprensione, gentilezza amorevole, saggezza e "mezzi abili". Diamo naturalmente a noi stessi e agli altri ciò che è benefico. Ascoltiamo profondamente, osserviamo in modo discreto e rispondiamo in modo appropriato. Quando diamo non ci aspettiamo nulla. Non siamo superiori agli altri quando li aiutiamo; al contrario, aiutarli è come aiutare noi stessi e siamo grati che ci diano questa opportunità. Quando amiamo, lo facciamo con accettazione totale. Non aiutiamo solo le persone che ci piacciono e con cui è facile stare insieme, ma anche quelle difficili o scontrose. Non imponiamo le nostre idee - le nostre opinioni, ciò che funziona per noi - sugli altri. Non prendiamo tutto così sul serio. Scopriamo ulteriori modi per sviluppare la concentrazione e la nostra ricerca. Il Maestro Kusan ha avuto tre diversi risvegli significativi e ogni volta ha continuato a praticare con ancora più determinazione. L'ultima volta, il suo insegnante, il Maestro Hyobong, gli disse: “Fino ad ora mi hai seguito; ora sono io che dovrei seguirti" ...Fine della traduzione... Nel 2012, quando iniziai a praticare yoga, una frase e una poesia su un libro di Ashtanga Yoga aveva già aperto la mia mente a questa "spirale" che ci riporta a dove già siamo, ma con occhi diversi. Sensazione che riscopro in prima persona ora, scrivendo, traducendo e facendo mio tutto questo. Prima dell'illuminazione tagliavo legna e trasportavo acqua. Dopo l'illuminazione tagliavo legna e trasportavo acqua. (Aforisma Zen) Non smetteremo di esplorare,
e alla fine della nostra esplorazione arriveremo donde siamo partiti e conosceremo quel luogo per la prima volta (T.S. Eliot) |
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