ITA only (nelle foto: ghiacciaio Skaftafellsjökull (Islanda), una delle "lingue" di Vatnajökull, ovvero il ghiacciaio più grande d'Europa per volume). - Skaftafellsjökull (Islanda), una delle "lingue" di Vatnajökull, dall'aereo, atterrando in Islanda. -.-.-.-.-.-.- Non é la prima volta che vedo un ghiacciaio, avendo avuto l'enorme fortuna di ricevere questo sublime battesimo dal Ghiacciaio di Fellaria. Ma di così estesi non ne avevo mai visti nemmeno dall'alto e, soprattutto, non avevo mai messo piede su uno di loro prima d'ora. Imparo a montare i ramponi sui miei scarponi invernali, che fino a quel momento avevano accarezzato solo monti italiani o elvetici: con queste punte di metallo il loro aspetto si fa molto più ostile e mette quasi soggezione. Mi pervade un senso di colpa all'idea di graffiare e sfregiare quel ghiaccio vecchio di secoli o millenni ma faccio il primo passo, molto deciso, e mi soprendo di quanto la fiducia che ripongo in questi attrezzi sia già totale. La sensazione non potrebbe essere più agrodolce. Da un lato sento di violare uno spazio sacro, senza diritto di ingresso o dimora. Dall'altro percepisco di essere testimone della paziente e grandiosa opera di uno scultore invisibile, ma vivo e a cui rendo omaggio. Sotto i miei piedi, strutture d'aria si contorcono immobili, ostentando pose che senza il ghiaccio non potrebbero mostrare e di cui nessuno potrebbe accorgersi. Quello che sto solcando, é un libro vivente di storie, drammi e sapienza. Come un esploratore timido e timoroso, apro le pagine di questa enciclopedia: questa é la sensazione che ho avvertito entrando dentro il ghiaccio. So di certo che quel che vedo é solo temporaneo, come tutte le cose. L'acqua gocciola copiosa e qualche piccola frana si fa strada tra i crepacci del soffitto. Forme sinuose e spinose convivono nel ghiaccio che mi circonda, in questo capolavoro di luce ed oscurità. In questo contesto, l'acqua é forza artefice e distruttrice al tempo stesso, in un ciclo dove il silenzio di centinaia di anni si lascia portare via dal fragore del fiume sotterraneo. Tra il bianco e l'azzurro, la cenere vulcanica mi guarda, intrappolata dal giorno dell'eruzione in cui vide la luce del sole per la prima volta. Mi appaiono come quelle creature nell'ambra fossile, ritrovate nella posizione in cui la loro esistenza ha deciso di terminare. Le parole non trovano spazio, là dove solo lo sguardo riesce ad avere un senso, incapsulato nel suo parco giochi di geometrie fin qui solo immaginate. Ho avuto l'immensa fortuna di vivere alcune delle esperienze più stupefacenti in prima persona.
Dal mio primo avvistamento della Luna e di Saturno al telescopio, al lancio di un razzo spaziale. Da un gipeto in sorvolo a pochi metri, a un giardino interno bagnato di grazia e sacralità a Patan (Kathmandu, Nepal). E tante, tante altre. Di certo molte (se non la maggior parte) di queste esperienze di stupore e commozione sono arrivate dalla mia amata montagna e dalla solitudine rivelatrice che viene cullata dai suoi luoghi più isolati. Ma questa volta ho avuto l'onore di indossare i miei scarponi a pochi chilometri dal mare, per lasciarmi avvolgere da quella meraviglia primordiale che si fa trovare solo quando smetti di cercarla. L'Islanda è stata palcoscenico di questa storia, ma poteva essere altrove, visto che i viaggi non sono la condizione necessaria per questo tipo di esperienze: non esplora per davvero chi chiude la valigia e parte, ma chi sa restare nel momento presente, appoggiando la sua attenzione sull'istante infinitesimale che, traghettato dai nostri sensi, arriva dritto al petto e ci rende parte di questo capolavoro.
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January 2023
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