Riflessioni sulla vita, grazie a scorci su valli, montagne e volte celesti. - Bisognerebbe vivere come la polvere, con la sua velocità e la sua pazienza. Bisognerebbe adagiarsi con ineccepibile ed equanime uniformità su ogni superficie, su ogni istante, con quella vigile arrendevolezza in cui le foglie sono tanto maestre. Osservo il Monte Torena, avvolto tra le nubi, i suo abbondanti 2900 metri spariscono dall'orizzonte, inghiottiti da un soffice (ma a tratti vorace) biancore. Come deve essere lassù, per quella cima? E per me? Immagino la vetta come fosse una creatura umana, isolata, nella sua temparanea cecità, avvolta da una nebbia che prima porta smarrimento, e poi lascia lentamente spazio a un'introspezione più sottile. Fa freddo e mi sento solo - immagino - tutto è bianco e non ho un riferimento, se non me stesso. Una frazione di secondo, e la carezza fugace del vento umido sulle guance riporta alla silenziosa calma che c'è sotto le lenzuola prima di dormire, e al profumo di casa. Penso che il silenzio non sia mancanza di suoni o un'assenza di parole. É piuttosto quello spazio che si concede alla presenza più cristallina, un portale verso le profondità più minuziosamente decorate dell'esperienza, verso l'affresco della vita, come ho sentito dire. Getto il mio sguardo più in basso, verso le valli che si intersecano e si coricano l'una sull'altra. Appaiono come le soffici rughe dei millenni, antiche ma rigogliose, e mi ricordano di un nonno su un dondolo a raccontare storie, di una nonna che invita a meno schiamazzi, alla tranquillità. Alzo poi gli occhi alla volta celeste, mi pare spontaneo farlo, e la fitta nel collo mi ricorda quanto sia corporea e incarnata questa vita. Mi chiedo se la via lattea, con la sua eclatante e vasta pennellata biancastra, non sia altro che un diversivo, a distogliere l'attenzione dalla guancia arrossata di un cielo immenso che non sa come celare la sua nudità. Mi commuovo e per un istante provo compassione per le stelle. D'un tratto, tutto mi appare a portata di mano. Le distanze cadono, perdono sostanza e forma, come lenzuola rapite dal vento e che qualche molletta non ha saputo trattenere. L'universo si fa quartiere, non lo percepisco più come inafferrabile, piuttosto come un area troppo grande da essere coperta nelle mie mappe dei sentieri. Questo sì. Camminare qui, dove sono ora, è già camminare nell'universo. Nel piccolo spazio di terreno che occupo, ci sono solo io ma anche tutto quanto, in un punto di singolarità che fonde zero ed infinito, il miracolo e il mistero. La paura e l'euforia. Bisognerebbe vivere come la polvere: ignari della propria origine, entusiasti del proprio percorso, ospiti del proprio avvenire. Stupefatti, per il semplice fatto di esserci. "Benchè i piedi dell’uomo non occupino che un piccolo spazio sulla terra,
è grazie a tutto lo spazio che non occupano che l’uomo può camminare sulla terra immensa" (Zhuangzi)
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(ITA only) Un periodo raro, molto raro. Se da un lato poco si saprà mai sulle cause, molto abbiamo sperimentato sulle conseguenze. Ho visto persone reagire nei modi più diversi e ho cercato (faticando) di lasciare le mie opinioni da parte: "ognuno é fatto a suo modo", mi sono ripetuto più volte. Nonostante questo, mi sono concesso di osservare il vasto spettro di atteggiamenti che questa grande ondata di incognite sta generando. Un vasto spettro ma diviso in due macro-mondi, un popolo tagliato in due da un grande scisma. Chi vive il periodo come una preziosa opportunità che ancora non ha sfruttato appieno e chi come una minaccia da debellare al più presto. Chi lo sfrutta per mettere in campo reazioni e comportamenti nuovi, e chi si é fatto cogliere impreparato, facendo acutizzare le vecchie e già note strategie che non funzionavano prima, figuriamoci ora. Chi ha paura, e chi non ne ha per nulla. Qualcuno troverà il modo di sopravvivere e reagire, altri di vivere e rispondere. I primi continueranno a concentrarsi sulla cornice del quadro, ossessionati dal contesto che li circonda, i secondi riporteranno la concentrazione sul dipinto, sulla loro esistenza e su come essa si può riconfigurare e adattare di fronte alle sfide del mondo. Una comunità di essere umani deve promuovere il rispetto delle diversità e un confronto etico di idee, anche in un contesto dove la paura e le opinioni corrono a briglia sciolta, senza controllo. In questa ottica ho voluto raccogliere 4 testi molto diversi, su 4 argomenti molto diversi, da 4 fonti molto diverse, che trovano un campo di applicazione molto valido tanto in questo periodo speciale, quanto nella vita in generale. Spero che diventino fonte anche della più minuscola briciola di ispirazione... ...in questo periodo raro, molto raro. Come la vita, del resto. Il mistero della bellezza, la verità e la realtà, sono la stessa cosa. Sono elementi che abbiamo rappresentato con forme d'arte sin dall'inizio ma rimangono elusivi. Pensiamo a loro come all'ignoto. Dobbiamo guardare le nostre menti, perchè lì è dove possiamo osservare la nostra crescente consapevolezza della realtà. Quando capiamo che è la realtà che vogliamo, allora i nostri piedi si ritrovano sul sentiero. (dagli appunti di Agnes Martin) - “È facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine*, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta dolcezza l'indipendenza della solitudine* ” - (Ralph Emerson - Essays (1841)) (* solitudine intesa come "lo spazio di armonia con se stessi", e non necessariamente come "mancanza di contatto con altri", ndr) Perché ci sentiamo tanto feriti nel momento in cui capiamo di non essere così importanti? Non sarebbe meglio considerarlo un avvenimento fondamentale, un'illuminazione? Ciò che chiamiamo "credere", in fondo, è un'azione che inizia dentro di noi e bisogna credere nella separazione tanto quanto crediamo nella bellezza e nell'amore, ed essere anche preparati, perché al termine di ogni cosa bella c'è sempre una separazione. E se così, allora perché non interpretare queste disgrazie come catastrofi costruttive, che ci permettono di affrontare ciò che non conosciamo? Non trovi? (Dal film: "L'albero dei frutti selvatici") - Domanda di un fan
Ci sono situazioni in cui dare valore a un'opinione altrui, può essere considerata una cosa utile e sana? Risposta di Steve Vai Sì! Ce ne sono molte! Ma solo tu puoi scegliere se l'opinione che stai ricevendo é autentica e se risuona con te, se dentro quell'opinione c'é qualcosa che ti fa dire "mh, c'è un punto interessante in quel che dice". E lo facciamo sempre. Se guardiamo bene, tutto quello che dico io stesso può essere considerato un'opinione, e potreste trovare informazioni utili in alcune di queste, e questo é un approccio sano. L'approccio non-sano arriva quando prendi qualcosa a livello personale, per opinioni di altri su abbiagliamento, religione, musica etc. L'opinione degli altri può avere spigoli molto appuntiti. Questi spigoli nelle opinioni altrui, sono la testimonianza della loro paura. Non c'é nulla di male nell'avere un'opinione, ma é pericoloso "adorare" le proprie idee, credere che siano quelle corrette, non solo per te, ma per tutti. Si tratta di una mancanza di fiducia in se stessi. Se una persona avesse fiducia nelle proprie opinioni, non ci sarebbe bisogno di convincere gli altri su nulla. Quando hai fiducia in quel che ti piace, o non ti piace, permetti agli altri di avere una loro idea, senza che ti influenzi quale essa sia, a meno che il tuo "ego" non la prenda a livello personale. Persino idee benigne, che possono essere molto utili, vengono prese sul personale, a volte. Lo dico perché sono io il primo a notare quando lo faccio. E l'unico modo per capirlo e per conoscere gli altri, é conoscere se stessi, levando il microscopio dal mondo e rivolgerlo verso di sè. Quando ti ritrovi ad avere a che fare con un'opinione altrui, da un semplice "mi piace il rosso" al risoluto "il mondo fa schifo e tutti sono degli idioti". C'è stato un momento della mia vita in cui avevo a che fare con persone che promuovevano queste idee, che alla fine sono diventate anche le mie, portando intensa sofferenza. Quando un'opinione altrui arriverà a te, saprai se é possibile trovare un piccolo spazio di presenza mentale, e quindi valutare serenamente se é un commento sano da cui posso trarre qualcosa di buono oppure se é l'insicurezza che l'altro sta gettando su di te. Ma solo tu lo saprai." - (Steve Vai, dalla diretta Facebook "Under it all" del 7 maggio 2020) ITA and ENG (lyrics after the video) Una canzone che mi dona la dose di poesia di cui ho bisogno e che si presta a diverse interpretazioni, come la fase che stiamo attraversando, del resto. Un'espansione che salta a piè pari la compressione della segregazione. - A song that gives some much needed poetry and that is subject to different interpretations, as is the phase we're going through. An expansion that jumps over the compression of segregation Allschwil (CH) - Marzo 2020 -.-.-.-.-.-.-.-.- Cathedrals (music and lyrics by "Jump, little children") tESTO IN ITALIANO
Cattedrali (testo e musica di "Jump, Little Children") All'ombra di alti edifici Di angeli caduti sui soffitti Piume oleose in bronzo e cemento Colori sbiaditi, pezzi lasciati incompleti La fila si muove lentamente oltre la recinzione elettrificata Attraverso i confini tra i continenti Nelle cattedrali di New York e Roma C'è la sensazione che dovresti semplicemente andare a casa E trascorrere la vita intera a scoprire dove si trova - All'ombra di alti edifici L'architettura si sta lentamente scrostando Statue in marmo e divisori in vetro Qualcuno sta osservando tutti i forestieri La fila si muove lentamente attraverso la porta numerata oltre il mosaico del capo di stato Nelle cattedrali di New York e Roma C'è la sensazione che dovresti semplicemente andare a casa E trascorrere la vita intera a scoprire dove si trova - All'ombra di alti edifici Di archi che si inginocchiano infinitamente Paesaggi sonori che fanno eco ai panorami Qualcuno sta ascoltando a debita distanza La fila si sposta lentamente in una luce che sbiadisce Un ultimo momento nel cuore della notte Nelle cattedrali di New York e Roma C'è la sensazione che dovresti semplicemente andare a casa E trascorrere la vita intera a scoprire dove si trova (x2) lYRICS IN ENGLISH
Cathedrals (music and lyrics by "Jump, little children") In the shadows of tall buildings Of fallen angels on the ceilings Oily feathers in bronze and concrete Faded colors, pieces left incomplete The line moves slowly past the electric fence Across the borders between continents In the cathedrals of New York and Rome There is a feeling that you should just go home And spend a lifetime finding out just where that is - In the shadows of tall buildings The architecture is slowly peeling Marble statues and glass dividers Someone is watching all of the outsiders The line moves slowly through the numbered gate Past the mosaic of the head of state In the cathedrals of New York and Rome There is a feeling that you should just go home And spend a lifetime finding out just where that is - In the shadows of tall buildings Of open arches endlessly kneeling Sonic landscapes echoing vistas Someone is listening from a safe distance The line moves slowly into a fading light A final moment in the dead of the night In the cathedrals of New York and Rome There is a feeling that you should just go home And spend a lifetime finding out just where that is (x2) ITA only (ENG: this post is a direct translation to italian of the beautiful article at this link, allowed by Martine Batchelor - merci Martine!). - Quella che segue é una traduzione pressoché letterale (e autorizzata dall'autrice Martine Batchelor) del meraviglioso articolo pubblicato a questo link. Le "dieci icone del bue" descrivono il percorso di addestramento Zen all'illuminazione, con immagini popolari accompagnate da poesie e commenti. Descrivono un giovane mandriano la cui ricerca lo porta a domare, addestrare e trasformare il suo cuore e la sua mente, un processo che è rappresentato dalla sottomissione del bue. Anche se queste immagini sono presentate in una sequenza, Martine Batchelor ci mette in guardia dal pensare che lo sviluppo personale e la pratica Zen vadano in linea retta; il percorso é più simile ad una spirale lungo la quale ritorniamo alle diverse tappe ma con più comprensione. Queste 10 illustrazioni (in diverse forme ed interpretazioni, ndr) adornano le pareti dei templi Zen in Cina, Corea e Giappone. Il seguente commento di Batchelor è tratto e adattato dal suo libro "Principles of Zen" (Thorsons / HarperCollins). I brevi testi prima di ogni illustrazione sono versi poetici di Master Kusan, stampati per la prima volta nel suo libro "The Way of Korean Zen". Il maestro Kusan fu l'abate del monastero di Songgwangsa vicino alla città di Kwangju, in Corea. Le illustrazioni sono di Jihihara Sensei, dalla collezione del 1982 esposta nel monastero Zen Mountain Monastery. 1. Alla ricerca del bue Alte montagne, acque profonde e una fitta giungla d'erba Per quanto ci provi, il modo di procedere rimane poco chiaro! Per alleviare questo senso di frustrazione, ascolta il frinito delle cicale. In questa foto, il giovane mandriano sembra un po' perso. Sta cercando qualcosa, ma non è nemmeno sicuro cosa. Rappresenta lo stadio in cui non abbiamo ancora iniziato il cammino spirituale, ma ci sentiamo in qualche modo a disagio ed insoddisfatti. Ci sono deboli trambusti dentro di noi. Pensiamo che se avessimo abbastanza "cose" materiali, allora saremmo felici. Vorremmo avere una casa con un bel giardino o abbastanza soldi per comprare qualunque cosa ci piaccia. Ma nulla sembra soddisfarci completamente, per portarci quell'elusiva felicità duratura. Forse speravamo che una relazione stabile potesse darci quella felicità, ma è molto difficile trovare la persona giusta o essere la persona giusta, pienamente amorevole e tollerante. Anche se troviamo qualcuno, scopriamo che una persona non può soddisfare tutti i nostri bisogni, desideri e speranze. Una degna occupazione o un lavoro ben pagato possono darci sicurezza, ma ancora una volta questi coprono solo parzialmente la nostra vita. Insomma, tutto questo ci dà solo una felicità effimera. Sembra che manchi qualcosa. Siamo come il mandriano nella foto. C'è un ruscello rinfrescante, splendidi alberi, farfalle colorate e un meraviglioso canto degli uccelli, ma non è ancora soddisfatto. Come noi, cerca con ansia qualcosa: pace interiore, appagamento, chiarezza. 2. Vedere le impronte Un groviglio di cespugli spinosi: il debole mormorio dell'acqua corrente. Ma qua e là ci sono impronte: è questa la strada giusta? Se vuoi perforargli il naso e legarlo, non fare affidamento sulla forza di qualcun altro! In questa immagine, il mandriano vede finalmente alcune impronte. Rappresenta il momento in cui decidiamo di fare qualcosa per risolvere la nostra insoddisfazione. Cerchiamo qualcosa attorno a noi. Discutiamo di filosofia, leggiamo di psicologia e di vari stati di coscienza. Sentiamo parlare di meditazione e buddismo o Zen. Potremmo avere un amico che sta praticando o potremmo ascoltare un discorso di un insegnante di Zen. Ci piace l'idea di liberazione e risveglio o la stravaganza di un koan. Siamo attratti dalle storie Zen ma qui ci fermiamo. Abbiamo solo letto qualcosa a riguardo e quindi, i cambiamenti sono molto piccoli; continuiamo a patire le stesse sofferenze e gli stessi disturbi e mettiamo in pratica gli stessi schemi negativi. Leggere o ascoltare di Zen non farà una grande differenza nelle nostre vite. L'altra domanda che questa immagine solleva è: le impronte sono vecchie o nuove? Questo insegnamento e questa meditazione Zen sono rilevanti per noi, adesso, o lo sono solo per gli antichi maestri Zen in Cina? 3. Vedere il bue Tra i rami di salice che ondeggiano nella brezza primaverile canta un rigogolo. Come può il passero sperimentare la sua gioia mentre chiama la sua compagna? Non vi sono forse barlumi di luce lunare nella foresta, mia dimora? Qui, il mandriano ha finalmente visto il bue mezzo nascosto tra gli alberi. Questa immagine rappresenta lo stadio in cui finalmente decidiamo di fare davvero qualcosa. Non siamo ancora del tutto sicuri di quale sia il metodo migliore e di cosa esattamente dobbiamo fare. Quindi proviamo diversi approcci. Una settimana visitiamo un tempio, un'altra settimana parliamo con un insegnante. Continuiamo a leggere libri per trovare un buon modo per praticare. Potremmo anche provare la meditazione e non appena ci sediamo per un po' sperimentiamo un po' di pace. Ci rendiamo conto che si tratta di un'attività che possiamo fare da soli e che ci fa stare bene. Potremmo anche provare a coltivare dei precetti ed essere così più innocui, generosi, disciplinati, onesti e chiari. Cominciamo a capirne il senso; acquisiamo familiarità con le idee non solo a livello intellettuale ma anche a livello esperienziale. Pensiamo di aver trovato qualcosa e ne siamo molto entusiasti. 4. Catturare il bue Avanzando con difficoltà; il naso del bue è trafitto. Ma la sua impetuosa natura è difficile da domare. Trascinato qua e là, vaghi per foreste coperte di nuvole. Il mandriano ha finalmente catturato il bue con una corda. Ma il bue non ne vuole sapere di essere domato. Il mandriano si tiene forte mentre il bue salta ferocemente e lo trascina qua e là. Quando iniziamo a meditare, ci sentiamo come il mandriano in questa situazione. Ci viene data una serie di istruzioni e pensiamo che seguirle non sia poi troppo difficile. Catturare il bue non è stato difficile ma contenerlo richiede molta energia e forza. Allo stesso modo, sedersi seguendo un determinato metodo é di per sé facile, ma applicare le istruzioni per un certo lasso di tempo è quel che richiede grande determinazione e forza. Non appena ci sediamo, la mente è invasa da pensieri, ricordi e piani, e il nostro corpo non è a suo agio. Iniziamo ad avere dolore alla schiena, poi alle ginocchia, ed ecco che persino le nostre guance iniziano a prudere. Proviamo varie posture. Vogliamo dimenticare il passato o il futuro, ma tornano molto rapidamente a farci visita. Come il mandriano, dobbiamo rimanere saldi e tener duro. Ci sono molti ostacoli: irrequietezza, sonnolenza, sogni ad occhi aperti, ecc. Dobbiamo renderci conto che negli ultimi venti, trenta anni abbiamo coltivato molte abitudini che hanno favorito le distrazioni e quando meditiamo ci scontriamo con tutte queste abitudini. Ci vorrà del tempo prima di sciogliere la loro presa. 5. Tendere il bue Temendo che possa precipitare in qualche fosso o lungo qualche pendio, Lo tieni stretto aiutandoti con la frusta e la briglia e con la tenacia di entrambe le gambe ti aggrappi saldamente il terreno. Superato questo momento critico, il bue ti segue. In questa immagine, il mandriano controlla delicatamente il bue che non è più selvaggio. Camminano l'uno accanto all'altro e l'uomo tiene la corda molto allentata. Dopo aver tenuto duro e sostenuto la pratica per un po', diventa più facile. Siamo più a nostro agio con la postura. Riusciamo a sederci e a restare fermi senza sentirci irrequieti. Non combattiamo più con il nostro corpo e la nostra mente e manteniamo la concentrazione per un certo periodo di tempo. Abbiamo acquisito un po' di tranquillità e un po' di chiarezza che ci aiutano nella nostra vita quotidiana. Il mandriano tiene ancora la fune allentata perché sa che nonostante la lotta sia finita, rimanere vigili è fondamentale. Il bue sembra sottomesso ma potrebbe scattare in qualsiasi momento. Per praticare lo Zen dobbiamo essere fiduciosi ma anche consapevoli che non si deve diventare arroganti. Potremmo pensare di conoscere lo Zen a 360 gradi, ma in ogni caso abbiamo ancora bisogno di determinazione e disciplina per contrastare le potenti distrazioni. Questa immagine rappresenta una fase di maturazione e di crescita caratterizzata da cura e attenzione. 6. Cavalcare il bue verso casa Seduto a cavallo del bue, la nobile persona ritorna felicemente verso casa. I suoni del suo flauto si mescolano al cielo cremisi: ha scoperto il giardino della gioia. Chi altri potrebbe conoscere questo gusto infinitamente piacevole? La corda se n'è andata. Il mandriano siede tranquillamente sul bue suonando il flauto. Il bue sa dove andare senza che gli venga detto. Questa è un'immagine che trasmette agio, svago e libertà. Alcune persone credono che lo Zen sia molto severo e serio o che per essere spirituali si debba essere cupi, pessimisti o indifferenti. Al contrario, mentre avanziamo nella pratica, scopriamo che ha più a che vedere con gioia e creatività. Cominciamo a prenderci meno sul serio e ci godiamo la vita nell'aprirci alla sua natura mutevole e fluttuante. Balliamo e cantiamo con la vita. Si instaura un rapporto di amicizia con il nostro corpo e la nostra mente. Questa immagine ci mostra anche che c'è spazio per la creatività nello Zen. Quando accettiamo noi stessi e il mondo, il nostro potenziale si sviluppa, le paure e le insicurezze si dissolvono; e possiamo esprimerci attraverso la musica, la pittura, la poesia, la cucina, il giardinaggio, passando del tempo con bambini o con persone anziane. Tutto ciò che facciamo può diventare un'arte; non è più un dovere; è un modo per esprimere la nostra vera natura. 7. Dimenticando il bue, il mandriano si riposa da solo Luna splendente e vento freddo: che casa splendida! Seduto tutto solo, il bue se n'è andato via. Anche se sonnecchi fino all'alba, a che servono frusta e briglia? Il bue è scomparso e il mandriano riposa da solo a casa. Fino ad ora c'era l'impressione che ci fosse qualcosa da fare, qualcosa da praticare. Permaneva una separazione tra noi stessi e la pratica, un dualismo tra ciò che era spirituale e ciò che non lo era, ciò che era Zen e ciò che non era Zen. In questa fase, ci fondiamo con la pratica, che non è più qualcosa di speciale. Non ha più luogo solo quando ci sediamo su un cuscino o in una stanza particolare. Tutto diventa meditazione. La consapevolezza diventa naturale quanto lo è la respirazione. Siamo in pace con noi stessi, con la mente, il corpo e il cuore, con tutto il mondo. Non abbiamo nemmeno bisogno di richiamarci alla disciplina, perché ora la pratica e la coltivazione dei precetti perdono consistenza. Non dobbiamo "eseguirli": si "eseguono da soli". Come diceva il Maestro Kusan: “Sei tutt'uno con la domanda. È la domanda che cammina, va in bagno, guarda la campagna.” L'innocuità e la generosità giungono naturalmente. In questo stato, non puoi nemmeno pensare di essere scortese o dire bugie. Questo tipo di pensieri non sorge nemmeno. 8. Il mandriano e il bue sono entrambi dimenticati Poiché lo spazio è collassato, come possono rimanere degli ostacoli? Può forse un fiocco di neve sopravvivere in una fiamma ardente? Allegramente vai e vieni: come puoi non ridere sempre? Il bue e il mandriano sono entrambi svaniti. C'è solo un cerchio nero che rappresenta il vuoto. In precedenza, quando ci siamo uniti alla pratica, pensavamo ancora che ci fosse un "io" a praticare. Ora anche questo è andato. Ci rendiamo conto che nulla ci appartiene veramente; possiamo occuparcene solo finché dura. Sperimentiamo anche di non avere un'identità solida e separata. Siamo un flusso di condizioni. Siamo costituiti da tutti i nostri geni, dalla nostra storia, dai condizionamenti sociali, ecc. Chi siamo, se non un insieme di aggregati e fluttuazioni? Non possiamo identificarci con i nostri sentimenti, i nostri pensieri, i nostri beni. Vanno e vengono. Sorgono in determinate circostanze, rimangono un po' e poi scompaiono. Tutto è fatto di condizioni, in continua evoluzione. Non c'è nessun posto dove andare, niente a cui aggrapparsi. Ci siamo liberati di un enorme peso e ci sentiamo così leggeri. Ci rendiamo conto che tutto viene dalla vacuità. Solo grazie ad essa le cose possono cambiare e fluire. La vacuità non è un vuoto, un buco nero, ma la possibilità di infinite trasformazioni. Non c'è più avidità, nè barriere create da noi stessi e dai nostri limiti. La natura di Buddha può risplendere ed esprimersi pienamente. 9. Ritorno al luogo originale Il mio tesoro personale è riconquistato: tutti quegli sforzi spesi invano! Sarebbe stato meglio essere ciechi, sordi e sciocchi. Le montagne e l'acqua sono proprio come sono! E così è anche l'uccello tra i fiori. In questa immagine, l'acqua scorre, i fiori sbocciano e gli uccelli cantano. La pratica non si ferma alla vacuità. Se ci attacchiamo ad essa, potremmo giungere a separazione e isolamento. Dobbiamo andare oltre, rientrando nel mondo in cui "avendo dimenticato noi stessi, siamo stati illuminati da tutte le cose". Comprendiamo l'interdipendenza che è alla radice di tutta la vita. Mentre mangiamo e mastichiamo un pezzo di toast, ci connettiamo con il grano, i germogli verdi, la terra, il sole, la pioggia e apprezziamo gli sforzi di tutte le persone che hanno reso possibile quel pezzo di toast. Quando vediamo un filo d'erba che ondeggia nella brezza, oscilliamo con esso. La nostra vita è ordinaria e così com'è, ma la guardiamo in modo diverso. Ci rendiamo conto che tutto attorno esprime la verità della vita e della consapevolezza, e ci parla. Non siamo più rinchiusi in noi stessi ma completamente aperti al mondo. Non siamo spaventati ma al contrario euforici. Il mondo é noi e noi siamo il mondo. Tutta questa pratica, questo sforzo, per poi puramente renderci conto di ciò che era già sulla soglia di casa! 10. Al mercato, per dare una mano Vestito di stracci e scalzo, ti avvicini al mercato e alle strade. Persino coperto di polvere, perché dovrebbero cessare le tue risate? Le api e le farfalle sono felici perché i fiori sono sbocciati su un albero appassito. Questa foto mostra un uomo un po' pancione vestito di stracci che cammina a piedi nudi portando un sacco pieno di prelibatezze. Quest'ultima fase rappresenta la libertà, la saggezza e la compassione. Non siamo ostacolati dalle apparenze. Ci adattiamo liberamente ai luoghi elevati e a quelli più meschini. Troviamo spiritualità ovunque. La meditazione e la realizzazione non ci rendono passivi ma attivi. Siamo profondamente connessi col mondo; sentiamo la sua sofferenza e vogliamo rispondere e aiutare. Il nostro bagaglio è pieno di gioia, compassione, comprensione, gentilezza amorevole, saggezza e "mezzi abili". Diamo naturalmente a noi stessi e agli altri ciò che è benefico. Ascoltiamo profondamente, osserviamo in modo discreto e rispondiamo in modo appropriato. Quando diamo non ci aspettiamo nulla. Non siamo superiori agli altri quando li aiutiamo; al contrario, aiutarli è come aiutare noi stessi e siamo grati che ci diano questa opportunità. Quando amiamo, lo facciamo con accettazione totale. Non aiutiamo solo le persone che ci piacciono e con cui è facile stare insieme, ma anche quelle difficili o scontrose. Non imponiamo le nostre idee - le nostre opinioni, ciò che funziona per noi - sugli altri. Non prendiamo tutto così sul serio. Scopriamo ulteriori modi per sviluppare la concentrazione e la nostra ricerca. Il Maestro Kusan ha avuto tre diversi risvegli significativi e ogni volta ha continuato a praticare con ancora più determinazione. L'ultima volta, il suo insegnante, il Maestro Hyobong, gli disse: “Fino ad ora mi hai seguito; ora sono io che dovrei seguirti" ...Fine della traduzione... Nel 2012, quando iniziai a praticare yoga, una frase e una poesia su un libro di Ashtanga Yoga aveva già aperto la mia mente a questa "spirale" che ci riporta a dove già siamo, ma con occhi diversi. Sensazione che riscopro in prima persona ora, scrivendo, traducendo e facendo mio tutto questo. Prima dell'illuminazione tagliavo legna e trasportavo acqua. Dopo l'illuminazione tagliavo legna e trasportavo acqua. (Aforisma Zen) Non smetteremo di esplorare,
e alla fine della nostra esplorazione arriveremo donde siamo partiti e conosceremo quel luogo per la prima volta (T.S. Eliot) Ita only (foto scattate ad Allschwil, BL (Svizzera), nel settembre 2019...con un'eccezione...) - Un film visto un paio di giorni fa, o meglio il suo titolo, ha dato un senso a diverse foto scattate nel mese di settembre. Come una penna che unisce i puntini in quel famoso gioco della settimana enigmistica, quelle parole misteriose hanno dato un significato a questa mia perenne tendenza ad inclinare lo sguardo verso terra, alla ricerca di chissà che. "La cenere é il bianco più puro" recita la traduzione letterale del titolo del film, che peraltro non annovero tra quelli che più mi hanno lasciato a bocca aperta. L'espressione fa riferimento al fatto che la cenere espulsa da un vulcano, risultato di processi ad altissime temperature, é senz'altro priva di ogni impurità, tanto da meritarsi un eventuale premio (se mai ne esistesse uno) per il "bianco più puro", anche se proprio bianca, la cenere, non è. Se da un lato il film ha le sue ragioni e la sua trama per giustificare questo titolo, dall'altro la mia interpretazione più spontanea ha portato nel mio minuscolo microcosmo una conferma e una carezza allo stesso tempo. E anche un briciolo di conforto. Si tende spesso a maledire l'epoca in cui si viviamo, celebrando e osannando le precedenti, sulla base di scarne certezze e poca voglia di trarre il meglio dai nostri tempi. E siccome sono fermamente convinto che si debba fare il contrario, come ho peraltro già accennato in passato, evidentemente persino l'asfalto diventa interlocutore e maestro, nell'esatto punto in cui si poggiano i miei occhi prima che lo facciano i miei passi. Non trovo casuale (cosa lo é, dopotutto?) il fatto che sia proprio l'asfalto ad accomunare le foto di cui parlavo, e che ho raccolto qui sotto. Una distesa piatta e grigia é evidentemente qualcosa di molto lontano dal bianco più puro, tanto da diventare per antonomasia quel che copre la vita, la spontaneità dei secoli, le molteplici sfumature del paesaggio. Ma grazie a queste foto (e agli istanti che rappresentano) ci ho visto altro, ovvero un palcoscenico per scene teatrali e potenti, metafore del nostro stesso passaggio su questa Terra. Il tutto rimane un mistero: il perché nasciamo, muoriamo, stiamo bene, stiamo male. Ma accettare la vità così com'é rappresenta la vera porta di accesso per capire il denso e profondo significato del nostro percorso. Su questo stesso asfalto non siamo i soli a nascere, tendendo fragili verso la luce... oppure ad aprire gli occhi verso ogni nuovo giorno che ci é concesso, raccogliendo i frutti di qualche scampolo d'infanzia passata di li. Non siamo i soli nemmeno a nutrirci di incontri, seppure in molti siano convinti di volerne (e poterne) fare a meno. Ma è inevitabile incontrarsi, condividere spazi e tempo... non meno inevitabile della chiusura del sipario. Insomma cenere e asfalto, come altri del resto, nascondono molto di più che l'apparente irreversibilità dei loro effetti. Con mia enorme (!!) sopresa, riscopro proprio ora di aver scattato questa foto esattamente 3 anni fa, nello stesso angolo di mondo a cui appartengono le precedenti foto. Non é cambiato nulla nel mondo in cui vivo. E' cambiato molto nel modo in cui vivo. ITA only Dopo aver immaginato il punto di vista di un fiore, ecco quel che un sentiero mi ha voluto sussurrare... -.-.-.-.-.-.-.-.- (un ringraziamento speciale alla fotografa, al mio fianco lungo il sentiero) -.-.-.-.-.-.- "Tranquillo, c'é il sentiero per arrivarci" Queste parole, ammettilo, portano spesso in te quel leggero e profumato tepore di qualcosa di conosciuto, come se in un lampo ritrovassi i tuoi riferimenti smarriti, in qualsiasi posto tu sia. Un sentiero conduce da un luogo a un altro, ti guida, questo lo sai, ma non senza sacrifici, miei e vostri. Quel che vedi di me, é la testimonianza del passaggio lento ma testardo di molti, senza il quale non sarei diventato una costante. Una costante tale da finire in qualche "almanacco del camminatore" (a proposito, sai che mi hanno dato anche un altisonante nome tutto mio?). C'é della poesia nel sentirsi il letto di un fiume, usurato da anni di sudore armato di scarponi. E tutto questo mi dà per certi versi un'età e quel dinamismo brioso tipico della vita come la sentite voi. E in effetti mi sento vivo, non c'é dubbio... ma che fatica ogni giorno! "Per cosa?" - ti chiederai. Vedi, sono come un pendolo che oscilla costantemente lungo la traiettoria dei suoi paradossi, baciando quei punti estremi che chiudono come un recinto la mia possibilità di comprensione. Sono la carezza alla collina, che segue le sue curve, ma anche lo sfregio trasversale sulla sua guancia. Sono la cucitura tra due punti, altrimenti difficili da unire, ma anche lo strappo in un paesaggio, l'interruzione slabbrata tra due lembi di seta. Sono la mappa per ritrovare la via, ma anche la traccia su cui molti si smarriscono, maledicendomi. É, per quel che ne so io, una missione che non ho scelto.
Ho smesso da tempo a provare a capire i come, i dove e i perché. Non me li domando più. Non me ne faccio nulla, e non mi hanno portato in alcun posto degno di interesse. Ma ecco cosa adoro di quel che sono! Potervi osservare mentre esplorate questa Terra, sentendomi il dito che sfoglia per voi le pagine di questi boschi e di questi monti, enciclopedia del nostro tempo. Ci sono momenti in cui non mi sento più quella ferita di terra e fango che sono, ma piuttosto il fiero autografo delle vostre gambe tra laghi e valichi, tra cime e prati scoscesi. I vostri sguardi lungo la via mutano in una progressione miracolosa, dall'indecisione alla determinazione, dalla disperazione all'euforia, dalla solitudine al sentirsi atomo dell'universo: tutto avviene spesso nel giro di qualche centinaio di metri. Vedo tutto, forse non potrei... Ma non temere, terrò i tuoi segreti. Torna a trovarmi, però, non so stare senza di voi. Sparirò... senza di voi. Porta quel tuo amico, la tua famiglia, o quella ragazza che tenevi per mano. Anche tuo papà, se puoi: vorrei conoscerlo. Prometto di essere discreto, davvero, nonostante la mia sensibilità abbia già fatto breccia in tante occasioni passate. Se sospirerò per la commozione, con folate d'aria tanto gelida da infastidire le orecchie, dì loro che sono le scie di un paio di farfalle che si rincorrono e se mi scapperà qualche lacrima, come l'altra volta, dì loro che è soltanto la pioggia. Un sentiero degno di questo nome, come spero di essere io, non conduce solamente a una destinazione, ma si concede come maestro umile ed invisibile per insegnamenti del tutto misteriosi, di cui solo il viandante farà esperienza diretta. Osservare i propri passi e l'orizzonte, osservando il respiro adagiarsi su questi pendii e gettando le intenzioni oltre le recinzioni. Ecco la chiave: io ne sono una metafora, potente. Usami. Seguimi! TI avviso: percorrendomi con la concentrazione che merito (che meriti!), vivrai esperienze forti, dure, ma piene e dense di significato. Non stupirti, quindi, se ti ritroverai commosso ed emozionato. Mi perdonerai, piuttosto, se io già lo sono. ITA only liberamente ispirata da una metafora ascoltata da un grande maestro - Mi hanno detto tante volte di "non pensarci", di concentrarmi su altro, per distrarmi da un problema. Da bimbo forse non capivo nemmeno cosa volesse dire, ora lo capisco ancora meno. Allora bastava andare a giocare, un'attività che non richiedeva alcun apprendimento: un pallone, delle macchinine o dei gavettoni e tutto andava come doveva andare. Col passare degli anni, ho imparato materie, argomenti, tecniche e strumenti per stare a questo mondo come la maggior parte di noi vuole che ci stia, ma ad un certo punto ho smesso di cogliere la spontaneità con cui l'entusiasmo più puro faceva breccia nei miei movimenti da bambino. Da una mezza dozzina d'anni, le montagne e qualche pratica venuta dall'oriente mi hanno faticosamente riportato sulla strada giusta, ma ci é voluto molto e ancora ce ne vorrà. “È facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta dolcezza l'indipendenza della solitudine” (Ralph Emerson) È un meccanismo molto bizzarro quello per cui l'adulto si ritrova a faticare come un matto per ritrovare quel che in realtà già ha sperimentato qualche decennio prima. A dirla tutta, a volte bastano pochi anni di studio imposto per dimenticare il sapore dello stupore. Il copione della vita sa essere molto perfido e impegnativo: la purezza di un cristallo ci viene mostrata in tenera età, quando ancora siamo completamente aperti a godere della meraviglia. Questo cristallo va poi a ricoprirsi di polvere ed incrostazioni coi depositi dell'esperienza, delle convenzioni sociali e delle discutibili convinzioni su cosa è importante e cosa non lo è. Ed è così che, più o meno lentamente, iniziamo a divergere, ad allontanarci dal centro, come un satellite che sfugge all'orbita una volta raggiunta la velocità di fuga. Per qualcuno non c'é punto di ritorno, il cristallo é troppo sepolto ormai, e la distrazione è tale che anche nell'eventualità dovesse apparire, la sua purezza non verrebbe notata. Per altri c'é un punto di svolta in cui si inizia a provare a ritrovare il sentiero, con pratiche dalle più semplici alle più esoteriche. Solo alcuni, però, riescono a far breccia nella nebbia della confusione, e tornano testimoni (consapevoli) di quei momenti di sublime estasi, che non si possono né generare nè afferrare, ma soltanto assaggiare. Sono, questi, momenti di rara limpidezza, dove le parole non bastano più per racchiudere una sensazione nel recinto di una descrizione. Tante (troppe?) tecniche arrivano a noi promuovendosi come strumenti infallibilii per aiutarci a "vedere" quei momenti, e probabilmente alcune funzionano pure, a patto di perseverare e praticare con costanza, perchè i vari passi diano i loro frutti. Ma le tecniche più affidabili, io credo, sono quelle che celebrano anche l'immediatezza e la profonda attualità/accessibilità di quell'essenza da (ri)sperimentare, e non solo l'ostico percorso che ad essa conduce. Come dire: allenati sì per correre fino al traguardo, ma sapendo che il traguardo è già qui. Forse non c'è nemmeno un traguardo, di certo non nell'accezione a cui siamo abituati: la competizione è decisamente estranea alla ricerca dell'innocenza. "Non darmi amore, non darmi fede, nemmeno saggezza oppure orgoglio, dammi l'innocenza piuttosto" (da "The Crow, the Owl and the Dove" - Nightwish) Quel che dobbiamo vedere é pardossalmente già davanti ai nostri occhi, solo non sappiamo indicarlo con precisione. Dobbiamo diventare come "bambini, nel nostro petto", come ho letto da qualche parte. Provate a chiedere a un pesce di indicarvi dov'è l'acqua: una vita passata a nuotarci dentro non lo rendono ancora in grado di puntare il dito (o meglio, la pinna) verso qualcosa di univocamente identificabile, in quanto "tutto attorno". La metafora funziona bene anche per noi, sbaglia solo nella direzione: per il pesce è tutto attorno, per noi è tutto dentro. Tutta questa impossibilità di indicare e produrre quei momenti, genera una certa frustrazione, in me per primo, ma sono convinto (e mi hanno insegnato) che prima si sposta l'attenzione dal controllo all'osservazione, e prima ci apriamo a quegli attimi di estrema chiarezza. Se è vero che possiamo solo essere testimoni di questi istanti senza poterli generare e afferrare, è altrettanto vero che il nostro corpo sa ricordare bene quel che ha provato in quei frangenti. Sono spesso frazioni di secondo, dove i sensi trovano un altro campo di applicazione, portando a noi sapori e odori senza che lingua o naso vengano realmente stimolati. Sono queste effimere tracce ad incidere ricordi che diventano riferimenti, àncore da gettare in mare quando la nostra navigazione si farà più turbolenta. Come mare mosso dal vento, la vita si adatta e si adagia come un lenzuolo sul nostro corpo, prendendo forme e movenze di un'esperienza sostenuta dal respiro e decorata di emozioni. Un'esperienza che anela a trovare rifugio nel lasciare andare, con lo sguardo spesso all'insù, a guardare quei due lembi cotonosi di cumuli di bel tempo, che lentamente nascondono quello sprazzo di azzurro che è già da dimenticare. - -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
"Ho detto alla mia anima di stare ferma, e di stare ad aspettare senza sperare. Perché sperare sarebbe sperare la cosa sbagliata; Di stare ad aspettare senza amore. Perché l’amore sarebbe amore per la cosa sbagliata; Ma resta ancora la fede. Ma fede e amore e speranza sono tutte nell’attesa. Aspetta senza pensare, perché non sei pronto per pensare. E allora l’oscurità sarà luce, e l’immobilità danza" (da "East Coker" - T.S. Eliot) (ITA only) Lacrima oltre il crinale Le gambe mi hanno portato fin quassù Rocce, crepacci ed aspri sentieri sono ormai alle spalle Un passo alla volta, su crinali pettinati dal vento. Le mani, queste ribelli appendici ancillari, non volevano essere da meno Lungo avvallamenti e forme sinuose di uno scheletro vestito di velluto Tutto sotto i miei palmi Una carezza alla volta, fino al culmine di queste guance arrossate Colline al tramonto, che fanno da culla ai misteri più intimi. Sono osservatore privilegiato di qualcosa che forse non son degno di vedere. La vista mi spezza il fiato, non prima di aver preteso un'inspirazione dai colori vastissimi. Un piccolo specchio d'acqua, che appare all'improvviso, un gioiello di queste altezze. Lo trovo in una conca, che si é fatta giaciglio di un'emozione improvvisa. Acqua, sorta dal nulla: da dove vieni? Chi ti ha portato qui? Una lacrima scesa dalla cima o una sorgente nelle profondità dell'animo? Quanto erano bui i crepacci in cui te ne stavi? Non colgo la tua origine, misteriosa e riservata, ma mi tuffo nei riflessi del tuo messaggio. I pugni mi si stringono, temo forse che l'entusiasmo possa sfuggire di mano? Capisco ora l'enorme differenza tra le parole "monte" e "montagna": con la prima posso puntare il dito verso una cima e darle un nome, con la seconda posso puntare il dito verso quel punto speciale dentro me, così da lasciarmi abbracciare dalla vastità di queste emozioni marcatamente femminili, come il vocabolo che le accompagna, come il tuo sguardo che fa da specchio al mio. La stanchezza arriva improvvisa, dopo l'intuizione e la meraviglia. Appoggio la guancia sul pendio di questa schiena calda, mi addormento e mi risveglio, ripetutamente, tra i sobbalzi del sonno testardo di un paio d'occhi che vuole rimanere vigile e continuare a guardare, per non perdersi un solo secondo. (ITA only) momenti, doni e insegnamenti da un compleanno da ricordare. - Un altro giro intorno alla stella madre. É la candelina che ho di fronte a ricordarmi in che punto dell'orbita sono: l'unico momento dell'anno in cui si soffia per celebrare qualcosa. Un soffio che porta tanti significati, uno su tutti lo scorrere dei giorni. Il presente si fa passato, arricciandosi sull'asse del tempo, come i tentacoli di un polpo immersi in acqua bollente. Gli istanti passano veloci, l'uno invita quello successivo, in una successione di momenti che pare scandita da una meschina clessidra, ma che nasconde la pennellata atarassica di un pittore, la vibrazione febbrile delle bandiere tibetane, un profondo respiro ad occhi chiusi. Immagino di guardare un ruscello: dov'è il passato e dove il futuro? L'acqua fluisce dal suo ieri a monte al suo domani a valle, ma per colui che guarda il torrente, la prospettiva é ben diversa: “il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte" (*). Niente è più come prima, tutto è nell'adesso, una scogliera-palcoscenico per un futuro pronto a tuffarsi per diventare obsoleto (**). Odori, sapori, brezza e vento: effimeri trasportatori di emozioni. Quel che conta è minuzioso, invisibile agli occhi (***), richiede la più spontanea contemplazione. Dannazione, come ha fatto la cosa più spontanea a diventare la più ostica? Ma a tratti, se mi lascio andare, riesco ad esserne testimone. Guarda! Tutto è così intenso ed elaborato, eppure meticolosamente ripiegato nella piu minuscola frazione di tempo, come un maestoso galeone racchiuso in una stanza, un oceano raccolto in una goccia di essenza. Qualcuno già lo disse: "Per vedere il mondo in un granello di sabbia e il paradiso in un fiore selvatico, tieni l'infinito nel palmo della mano e l'eternità nell'arco di un'ora (****)". Niente è casuale, niente è superfluo. Così tutto ha un senso. Mi affascina come i merli conoscano molto precisamente la gradazione di blu del cielo con la quale è opportuno iniziare a cantare al mattino. Non troppo presto, non troppo tardi. Potessimo, noi, mettere la stessa cura e lo stesso tempismo nei nostri gesti (in)consapevoli. I veri templi sono i dettagli. Le vere preghiere sono le parole non dette, che evaporano in carezze e sguardi. Soffio sulla candelina. Ora è spenta, non lo era poco fa. La fiamma se ne va, il sorriso di chi ho di fronte si fa piu' grande. Inizio una nuova orbita, e il naufragar m'è dolce in questo mare (*****). -.-.-.-.-.-.-.- "Un po' ubriaco, il passo leggero, nel vento primaverile" (Koan tratto da Ryokan Pays Natal) Riferimenti:
* (P. Cognetti - Le otto montagne) ** (liberamente ispirato da una citazione di J. Joyce) *** (citazione rubata da "Il Piccolo Principe", Antoine de Saint-Exupéry) **** (W. Blake - Auguries of Innocence) ***** (G. Leopardi - L'infinito) (ita only) liberamente ispirata da alcuni fiori a Sepang (Malesia), ma adatto a descrivere molti luoghi del mondo contemporaneo. - se un fiore avesse voce Una stiracchiata ai petali, e anche questa giornata può iniziare. Dev'essere uno di quei cinque giorni che terminano in "-dì", in cui tutto sembra essere frenetico (senza motivo) nel vostro ritmo quotidiano. Vi guardo spesso, nelle vostre corse per arrivare in orario, spesso con bagagli al seguito verso chissà dove. Qualcuno di voi di rado si avvicina e mi guarda, mi ammira con un accenno di sorriso appeso tra malinconia e stupore. Qualcuno persino mi sfiora col naso, per scoprire il mio lato piu intimo e nascosto. Lo fate spesso con discrezione e solenne rispetto, lo stesso atteggiamento con cui i veri gentiluomini osservano la scollatura sensuale di una donna. Ci sono due modi in cui mi piace vedervi chiudere gli occhi: l'uno è assonnato, l'altro è consapevole. Ci sono due modi in cui mi piace vedere che li aprite: l'uno è assonnato, l'altro è colto da meraviglia. Siete sempre in movimento e anche quando siete fermi, siete sovente da un'altra parte. Quando vi sedete a quel tavolino d'estate, ingurgitate cibo quasi senza rendervi conto di cosa ci sia nel piatto. Siete goffi e un po' patetici a tratti, scusate la schiettezza, come quando andate a sbattere camminando perchè troppo immersi nello schermo luminoso che tenete in mano. Eppure... siete fiori tanto quanto me, ma solo alcuni di voi provano a sbocciare: vi vedo, sapete? C'è chi gratta della sporcizia con l'unghia con l'eleganza di un passo di danza, chi presta attenzione al rumore croccante della neve sotto i piedi, e chi, dopo lo schiaffo ricevuto dalla ragazza, rimane fermo qualche secondo per lasciar scorrere ogni impulso aggressivo: sa che non vale la pena reagire. Sono questi piccoli gesti a contare nella vita: non certo la carriera, una bella casa, essere stati nel Grand Canyon. Nella mia breve vita, trovo gioia e agio nella concentrazione che la precisione richiede, nella lentezza della semplicità: l'ovvio non è banale ma essenziale! Finchè arriva quel giorno, dove cado (o volo?), la bellezza sembra finire. Ma così è la vita, anche la vostra. Arriva il momento in cui dovrete abbandonare tutto, e se avrete usato la vostra vita per allenarvi, non sarà per nulla doloroso, anzi. Ci si scompone, tornando all'origine che forse non abbiamo mai lasciato, come un accordo che torna arpeggio, pur essendolo sempre stato. Non so quanto resterò su questo freddo e umido suolo, ma spero abbastanza per strappare ancora qualche sorriso e qualche frugale manifestazione di meraviglia. Perchè se c'é una cosa che ho capito, é che in ogni gesto dimora un'occasione di purezza autentica, e ogni momento diviene un tempio per celebrarla. |
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January 2023
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