Dal Bocchel del Cane alle Pleiadi. La stretta parentela tra stelle e montagne. Escludendo le prime vere escursioni montanare, quelle inesperte e male affrontate, c'è un solo posto che associo ad un'estrema fatica e al timore di aver esagerato. Un luogo che prende il nome di Bocchel del Cane. Era l'estate di un paio di anni fa, e la mia passione per i valichi e i passi, soprattutto quelli piccoli chiamati "bocchette", mi ha fatto prendere un sentiero a sinistra, dopo il Lago Pirola, in Valmalenco. A destra avrei chiuso comunque un anello, in modo da non tornare sui miei passi, ma a sinistra avrei visto un altro lago, e sarei passato per la bocchetta. Mi sono fatto forza e ho fatto la mia scelta. Il sentiero era ripido e insidioso, con massi grandi forse come stanze che a volte richiedevano l'uso delle mani per avere la necessaria stabilità. Credo di averci messo più di un'ora: ad ogni passo le gambe mi comunicavano un po' di fatica in più, e mi chiedevo se avessi fatto la scelta giusta. Arrivato stremato all'ultimo tratto, la ghiaia e il sentiero poco tracciato hanno succhiato tutta la mia concentrazione. Mi pareva di non averne più, come un'arancia senza alcun nettare rimasto da spremere. L'arrivo alla bocchetta, alla fine, ha portato comunque quell'indescrivibile connubio di euforia mistica e di sollievo commovente che solo un'escursione in solitaria sa dare. Il lago Pirola era magnifico da lassù, con un panorama che includeva la vedretta del Ventina, il pizzo Cassandra e il monte Disgrazia, ma il vento freddo e i tanti chilometri rimanenti mi hanno tenuto vigile e forse mi hanno impedito di godere appieno del momento. Ero stanco, molto stanco, ma sapevo che ce la potevo e dovevo fare. Quel giorno sono arrivato all'auto sfinito, con tanti insegnamenti in più. Ma nessuno che mi faceva davvero pentire del percorso scelto. L'anno scorso sono tornato al lago Pirola, in dolce compagnia. Non sono tornato alla bocchetta, ma l'ho indicata alla mia preziosa compagna di camminata (e di vita). Ho rivissuto nei pensieri quel percorso di massi, sentendo che il mio corpo era tornato in un posto a lui caro. Settimana scorsa ho rivisto ancora una volta la bocchetta, ma stavolta dal lato opposto a quello che conoscevo: mi é sembrata di conoscerla un po' di più. Mi ci sono voluti un confronto fotografico e una mappa per individuarla senza dubbi, ma ora saprei puntare il dito senza esitazioni, come potrei indicare la costellazione di Orione o le Pleiadi. Questa similitudine mi ha fatto riflettere: i nomi dei passi, dei laghi e delle cime, sono spesso incomprensibili ma pieni sicuramente di un senso ancestrale, come le costellazioni. Le stelle richiamano ai miti, agli eroi, allo zodiaco. Le montagne alle tradizioni popolari, alle vicende degli esploratori o alle storie del posto - chissà. Il cielo e i monti sono mondi diversi, ma diamo loro nomi con scopi simili, credo: renderli meno distanti, meno paurosi e, forse, per stabilire un rapporto vivo e diretto. In questo modo, infatti, le imponenti sagome dei monti e le luci lontane che adornano la notte, perdono un po' del loro mistero, sono quasi a portata di mano, e finiscono per essere una recinzione protettiva piuttosto che un mare in cui perdersi. C'è probabilmente la stessa necessità nel misurarle e nel dare loro un valore numerico, che siano metri sul livello del mare o anni luce. Cerchiamo di dar loro un valore di riferimento, perché siano poi un riferimento per noi. Una bocchetta mette in collegamento due valli, dando respiro alle speranze del camminatore. Una stella può dare una rotta, diventando una bussola per chiunque si sia smarrito. Ho avuto la fortuna di dormire lassu', tra i monti, in una notte senza luna in cui i monti hanno abbracciato il cielo.
Mi sentivo allo stesso tempo spaventato dall'immensità e parte integrante di quella stessa vastità. Perso e ritrovato. Le montagne, vicine, sembravano irraggiungibili. Le stelle, lontane, parevano afferrabili a manciate. Ogni volta che punto il dito verso una cima o una stella, verso una bocchetta o un pianeta, mi onora poter chiamare tutto questo per nome. Mi sembra di trovare un sasso a cui appoggiarmi, un bastone a cui affidarmi, un appiglio a cui tenermi saldo, mentre mi godo la carezza di questa illusione che sa di magia.
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Questo articolo, e le sensazioni che mi hanno portato a scriverlo, sono frutto di un'indagine che il 2020, con le sue sfide uniche, ha portato. Molto é partito dalla voglia di prendere decisioni concrete e più consapevoli nell'ambito dei servizi e degli strumenti che uso quotidianamente, decisioni che si sono in parte concretizzate grazie a questa guida, Il "motore" di questa indagine é stato alimentato dalla voglia di libertà e verità e dallo scetticismo verso i principali canali di comunicazione, che non possono ormai più contare sul mio tempo. Un ringraziamento particolare và ai progetti opensource (uno su tutti Tutanota) che hanno aperto i miei occhi a un mondo affascinante e possibile, nonché a un nuovo modo di interpretare il volontariato, nella giungla di internet e della connettività globale. Questa riflessione ha un sapore diverso da quelle l'hanno preceduta su questo sito, ma non per questo mi rappresenta di meno.
Tutto é cominciato dalla situazione in cui ci troviamo da inizio anno, ma paradossalmente lo stimolo a scrivere è arrivato da qualcosa di tanto insignificante quanto un annuncio pubblicitario intravisto da un bus, verso la stazione. Un errore grammaticale, volontario, a catturare l'attenzione su un prodotto che evidentemente non aveva altre strategie più efficaci. Pur essendo abituato alle menzogne in cui siamo immersi, alle modelle ritoccate al computer e all'utilizzo (improprio) di simboli e luoghi, l'errore grammaticale mi ha dato persino più fastidio degli strumenti più assodati del subdolo mondo della pubblicità e della comunicazione. Quel piccolo inganno a catturare la mia attenzione (dove altrimenti non si sarebbe soffermata), mi ha fatto riflettere più ad ampio spettro sulla situazione in cui viviamo, piena di trucchi meschini che tentano di distrarci e rubarci concentrazione e tempo. E se riescono a farlo con una pubblicità, cosa possono fare su più grande scala (leggi 2020)? "C'é talmente tanta distrazione, oggigiorno, che l'intrattenimento é una delle industrie più floride", mi hanno detto. Triste, ma vero, se si pensa a quante diverse piattaforme di streaming ci sono (e a quanto la maggior parte delle persone fatichi e godere del semplice stare con se stessi, senza avere nulla da fare) Ed é proprio distraendoci che non ci rendiamo conto di come spesso ci vendiamo gratuitamente senza nemmeno saperlo (o facendo finta di non saperlo). Molti hanno caselle di posta elettronica gratuite perlopiù con il dominio che tutti ben conosciamo, in pochi capiscono che "se non paghi per il servizio, diventi parte del prodotto". E così i tuoi dati verranno raccolti e utilizzati per fini che molti nemmeno conoscono, avendo premuto su "Sì, accetto" senza nemmeno leggere e senza nemmeno notare il pulsante per rifiutare. Molti mi dicono allora: "raccolgano pure i miei dati, non ho nulla da nascondere". Eppure non regalano le chiavi di casa a chiunque. Mi dicono poi: "non ho voglia di cambiare email, sai quante iscrizioni dovrei modificare?". Eppure, dopo che sono entrati i ladri, cambierebbero ogni serratura di casa. Ci sono sempre più cose che rendono la vita più semplice e che per la verità nascondono minacce. Password sempre uguali... foto sincronizzate nel cloud gratuito... telefoni che si sbloccano col riconoscimento facciale. Credo, a questo punto, che non vedendo il rischio concreto, abbiamo lasciato trionfare pigrizia e comodità su riservatezza e intraprendenza. Qualsiasi pastore riparerebbe la staccionata per evitare la minaccia di un lupo al pollaio. Non lascerebbe mai la porta aperta! Perché facciamo entrare il lupo nel pollaio, allora? Ed ecco l'obiezione più frequente, arrivati a questo punto: "è un argomento troppo complesso, perché me ne possa occupare io, quindi lascio perdere". Touché! Questo é vero, e la complessità é spesso voluta dai poteri forti, in modo da incentivare questo tipo di atteggiamenti e scoraggiare quel minimo di ricerca che aiuterebbe a sapere di più. Dopotutto, penso che l'ignoranza non sia mai stata un'utile strategia di sopravvivenza, piuttosto soltanto una stretta di mano alla pigrizia e all'indifferenza. E, come immaginerete, non sono solo i servizi internet ad ingannarci. La tecnologia permette ormai a chiunque di essere intonati, di pubblicare foto sembrando professionisti, e di apparire esperti di qualsiasi determinato argomento. Ma l'autenticità rimane sempre indissolubilmente legata alla dedizione, all'impegno e alla forza di volontà, e non a quanti "mi piace" vengono raccolti. In un foglietto trovato a terra, ho trovato questa frase: "ogni essere umano ha la capacità innata di essere maestro di se stesso". E perché allora lasciamo che così tanti aspetti della nostra vita vengano controllati da altri? Se ci fate caso, tutto é più veloce al giorno d'oggi, più semplificato e più fruibile. Ma il risultato é drammatico. Non si ha più voglia di conoscere e capire, ma solo di finire in fretta e scansare i problemi. Negli anni 60 e 70 si ascoltavano canzoni in cui il ritornello appariva dopo minuti, le introduzioni si prendevano i loro tempi e le parti strumentali esponevano talento e sentimento di chi aveva qualcosa da dire. Oggi si sentono (per la maggior parte) i soliti ritmi, i soliti tre accordi, in un tripudio di mediocrità finalizzata al profitto. Abbiamo impiegato milioni di anni di evoluzione per diventare gli esseri viventi più complessi e affascinanti ma abbiamo impiegato qualche decina di anni per sacrificare libertà, consapevolezza ed unicità. Già, unicità. Siamo tutti unici e bizzarri, anche se cercano di annegarci nei grandi numeri con cui tanto vogliono analizzarci, profilarci e - visto il periodo - condizionarci per farci accettare scelte discutibili. Dopotutto, è una strategia affermata da secoli quella per cui scelte scomode e impopolari possono essere digerite meglio a fronte di minacce abilmente strumentalizzate. Non vorremo essere da meno proprio ora? Ma basta con le polemiche amare. Non tutto é perduto, questo é quel che conta. Tuttavia bisogna desiderare il cambiamento in prima persona, altrimenti lunga vita alla grande massa e a chi la vuole controllare, con le comodità che il "lasciar fare" agli altri concede. Ma se vogliamo uscire dalla trappola di questo inganno, iniziando a mettere in dubbio quello che arriva a noi in maniera stranamente troppo facile, allora serve dedizione costante, impegno genuino e attenzione vigile. Siamo tanti su questo pianeta, ma non per questo dobbiamo aver paura di valutare se una scelta ci rappresenti o meno. E' faticoso, ma ciò permette di riprendere in mano il controllo del proprio ruolo nella società moderna. E badate bene: non si tratta di iniziare inutili lotte o giudicare quel che fanno gli altri, ma di aprire gli occhi verso tutte le possibilità che ci sono, e non soltanto a quelle più comuni. Iniziare é il passo più difficile. Ma non vi basterà più vivere, quando comincerete ad esistere. Riflessioni sulla vita, grazie a scorci su valli, montagne e volte celesti. - Bisognerebbe vivere come la polvere, con la sua velocità e la sua pazienza. Bisognerebbe adagiarsi con ineccepibile ed equanime uniformità su ogni superficie, su ogni istante, con quella vigile arrendevolezza in cui le foglie sono tanto maestre. Osservo il Monte Torena, avvolto tra le nubi, i suo abbondanti 2900 metri spariscono dall'orizzonte, inghiottiti da un soffice (ma a tratti vorace) biancore. Come deve essere lassù, per quella cima? E per me? Immagino la vetta come fosse una creatura umana, isolata, nella sua temparanea cecità, avvolta da una nebbia che prima porta smarrimento, e poi lascia lentamente spazio a un'introspezione più sottile. Fa freddo e mi sento solo - immagino - tutto è bianco e non ho un riferimento, se non me stesso. Una frazione di secondo, e la carezza fugace del vento umido sulle guance riporta alla silenziosa calma che c'è sotto le lenzuola prima di dormire, e al profumo di casa. Penso che il silenzio non sia mancanza di suoni o un'assenza di parole. É piuttosto quello spazio che si concede alla presenza più cristallina, un portale verso le profondità più minuziosamente decorate dell'esperienza, verso l'affresco della vita, come ho sentito dire. Getto il mio sguardo più in basso, verso le valli che si intersecano e si coricano l'una sull'altra. Appaiono come le soffici rughe dei millenni, antiche ma rigogliose, e mi ricordano di un nonno su un dondolo a raccontare storie, di una nonna che invita a meno schiamazzi, alla tranquillità. Alzo poi gli occhi alla volta celeste, mi pare spontaneo farlo, e la fitta nel collo mi ricorda quanto sia corporea e incarnata questa vita. Mi chiedo se la via lattea, con la sua eclatante e vasta pennellata biancastra, non sia altro che un diversivo, a distogliere l'attenzione dalla guancia arrossata di un cielo immenso che non sa come celare la sua nudità. Mi commuovo e per un istante provo compassione per le stelle. D'un tratto, tutto mi appare a portata di mano. Le distanze cadono, perdono sostanza e forma, come lenzuola rapite dal vento e che qualche molletta non ha saputo trattenere. L'universo si fa quartiere, non lo percepisco più come inafferrabile, piuttosto come un area troppo grande da essere coperta nelle mie mappe dei sentieri. Questo sì. Camminare qui, dove sono ora, è già camminare nell'universo. Nel piccolo spazio di terreno che occupo, ci sono solo io ma anche tutto quanto, in un punto di singolarità che fonde zero ed infinito, il miracolo e il mistero. La paura e l'euforia. Bisognerebbe vivere come la polvere: ignari della propria origine, entusiasti del proprio percorso, ospiti del proprio avvenire. Stupefatti, per il semplice fatto di esserci. "Benchè i piedi dell’uomo non occupino che un piccolo spazio sulla terra,
è grazie a tutto lo spazio che non occupano che l’uomo può camminare sulla terra immensa" (Zhuangzi) (ITA only) Un periodo raro, molto raro. Se da un lato poco si saprà mai sulle cause, molto abbiamo sperimentato sulle conseguenze. Ho visto persone reagire nei modi più diversi e ho cercato (faticando) di lasciare le mie opinioni da parte: "ognuno é fatto a suo modo", mi sono ripetuto più volte. Nonostante questo, mi sono concesso di osservare il vasto spettro di atteggiamenti che questa grande ondata di incognite sta generando. Un vasto spettro ma diviso in due macro-mondi, un popolo tagliato in due da un grande scisma. Chi vive il periodo come una preziosa opportunità che ancora non ha sfruttato appieno e chi come una minaccia da debellare al più presto. Chi lo sfrutta per mettere in campo reazioni e comportamenti nuovi, e chi si é fatto cogliere impreparato, facendo acutizzare le vecchie e già note strategie che non funzionavano prima, figuriamoci ora. Chi ha paura, e chi non ne ha per nulla. Qualcuno troverà il modo di sopravvivere e reagire, altri di vivere e rispondere. I primi continueranno a concentrarsi sulla cornice del quadro, ossessionati dal contesto che li circonda, i secondi riporteranno la concentrazione sul dipinto, sulla loro esistenza e su come essa si può riconfigurare e adattare di fronte alle sfide del mondo. Una comunità di essere umani deve promuovere il rispetto delle diversità e un confronto etico di idee, anche in un contesto dove la paura e le opinioni corrono a briglia sciolta, senza controllo. In questa ottica ho voluto raccogliere 4 testi molto diversi, su 4 argomenti molto diversi, da 4 fonti molto diverse, che trovano un campo di applicazione molto valido tanto in questo periodo speciale, quanto nella vita in generale. Spero che diventino fonte anche della più minuscola briciola di ispirazione... ...in questo periodo raro, molto raro. Come la vita, del resto. Il mistero della bellezza, la verità e la realtà, sono la stessa cosa. Sono elementi che abbiamo rappresentato con forme d'arte sin dall'inizio ma rimangono elusivi. Pensiamo a loro come all'ignoto. Dobbiamo guardare le nostre menti, perchè lì è dove possiamo osservare la nostra crescente consapevolezza della realtà. Quando capiamo che è la realtà che vogliamo, allora i nostri piedi si ritrovano sul sentiero. (dagli appunti di Agnes Martin) - “È facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine*, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta dolcezza l'indipendenza della solitudine* ” - (Ralph Emerson - Essays (1841)) (* solitudine intesa come "lo spazio di armonia con se stessi", e non necessariamente come "mancanza di contatto con altri", ndr) Perché ci sentiamo tanto feriti nel momento in cui capiamo di non essere così importanti? Non sarebbe meglio considerarlo un avvenimento fondamentale, un'illuminazione? Ciò che chiamiamo "credere", in fondo, è un'azione che inizia dentro di noi e bisogna credere nella separazione tanto quanto crediamo nella bellezza e nell'amore, ed essere anche preparati, perché al termine di ogni cosa bella c'è sempre una separazione. E se così, allora perché non interpretare queste disgrazie come catastrofi costruttive, che ci permettono di affrontare ciò che non conosciamo? Non trovi? (Dal film: "L'albero dei frutti selvatici") - Domanda di un fan
Ci sono situazioni in cui dare valore a un'opinione altrui, può essere considerata una cosa utile e sana? Risposta di Steve Vai Sì! Ce ne sono molte! Ma solo tu puoi scegliere se l'opinione che stai ricevendo é autentica e se risuona con te, se dentro quell'opinione c'é qualcosa che ti fa dire "mh, c'è un punto interessante in quel che dice". E lo facciamo sempre. Se guardiamo bene, tutto quello che dico io stesso può essere considerato un'opinione, e potreste trovare informazioni utili in alcune di queste, e questo é un approccio sano. L'approccio non-sano arriva quando prendi qualcosa a livello personale, per opinioni di altri su abbiagliamento, religione, musica etc. L'opinione degli altri può avere spigoli molto appuntiti. Questi spigoli nelle opinioni altrui, sono la testimonianza della loro paura. Non c'é nulla di male nell'avere un'opinione, ma é pericoloso "adorare" le proprie idee, credere che siano quelle corrette, non solo per te, ma per tutti. Si tratta di una mancanza di fiducia in se stessi. Se una persona avesse fiducia nelle proprie opinioni, non ci sarebbe bisogno di convincere gli altri su nulla. Quando hai fiducia in quel che ti piace, o non ti piace, permetti agli altri di avere una loro idea, senza che ti influenzi quale essa sia, a meno che il tuo "ego" non la prenda a livello personale. Persino idee benigne, che possono essere molto utili, vengono prese sul personale, a volte. Lo dico perché sono io il primo a notare quando lo faccio. E l'unico modo per capirlo e per conoscere gli altri, é conoscere se stessi, levando il microscopio dal mondo e rivolgerlo verso di sè. Quando ti ritrovi ad avere a che fare con un'opinione altrui, da un semplice "mi piace il rosso" al risoluto "il mondo fa schifo e tutti sono degli idioti". C'è stato un momento della mia vita in cui avevo a che fare con persone che promuovevano queste idee, che alla fine sono diventate anche le mie, portando intensa sofferenza. Quando un'opinione altrui arriverà a te, saprai se é possibile trovare un piccolo spazio di presenza mentale, e quindi valutare serenamente se é un commento sano da cui posso trarre qualcosa di buono oppure se é l'insicurezza che l'altro sta gettando su di te. Ma solo tu lo saprai." - (Steve Vai, dalla diretta Facebook "Under it all" del 7 maggio 2020) (ITA only) - In tanti dicono quello che dovrei fare, in pochi sanno spiegarmi perchè. Le tradizioni in cui sono immerso sono colonne portanti della società in cui sono nato, difficili da scostare, o troppo fitte per lasciarmi vedere al di là. Tutti sono indaffarati a promuovere le loro idee o ingoiano passivamente quelle degli altri senza protestare. Cristiani, atei, musulmani eccetera: ognuno, a suo modo, è un po' fanatico difensore di principi che spesso chiudono i loro stessi orizzonti, invece di aprirli. Questo, del resto, chiedono i dogmi: una cieca fede nel mistero. Questo, del resto, chiede l'ostinata negazione dei dogmi: un testardo e continuo voltar le spalle a ciò che non può essere spiegato razionalmente. In fin dei conti, penso, credenti convinti ed atei convinti condividono lo stesso identico atteggiamento verso le proprie idee ed opinioni: una difesa a spada tratta poco disponibile alla rivisitazione. E non parlo, qui, dell'accettazione degli altri e delle loro idee, ma di quanto uno sia disposto a ridiscutere quel che ha sempre dato per scontato (o in cui ha sempre creduto) in prima persona. "Mettere in discussione" è un processo faticoso, che male si sposa con la pigrizia di questi tempi moderni. Per molti, poi, rappresenta una sconfitta di cui non vogliono nemmeno sentire parlare: come giustificare un cambio radicale di approccio, dopo 30, 40, 50 anni investiti in tutt'altra direzione? Meglio rimanere saldi a principi sicuri e coerenti, anche se non risuonano con me. Nel mio piccolo, ho potuto osservare un disperato bisogno di ortodossia in diverse tappe del mio percorso: dal cristianesimo che mi ha cresciuto, alla scuola, dal volontariato allo sport, dallo yoga al buddismo di derivazione religiosa (precisazione che ho messo non a caso). Ho visto fanatici in tutte le tappe della mia vita. Ho sentito un sacco di "devi", una moltitudine di "risultati ideali a cui tendere", una serie di "tappe ben definite da seguire", pena il finire fuori sentiero. Non voglio nè classificare tutti come fanatici nè voglio denigrare i tanti lati positivi degli insegnamenti, delle tradizioni e del lavoro di altri che, nei millenni, è arrivato fino ad oggi. Ma ormai il mio naso mi richiama all'attenzione spesso: è disgustosa la puzza di "verità assoluta" impacchettata in codici di comportamento o dogmi in cui credere. Bisogna starci attenti, tutto qui. Ho avuto la fortuna di incontrare tante persone che mi hanno invitato ad un cambio di prospettiva su tanti fronti, cosa non facile considerando che la mia struttura di pensiero e di ragionamento è ancora molto influenzata dalla formazione scientifico-ingegneristica che ho ricevuto. Ma anche un bambino che viene forzato ad assaggiare il gambo del broccolo, può finire col trovarlo squisito (frase quanto mai vera sia per me che per la mia nipotina). Ho capito che l'ortodossia e le sedicenti verità danno sicurezza e stabilità per affrontare quel che non può essere compreso con l'intelletto, ma levano tutto il sapore, il gusto e la meraviglia dell'inspiegabile. Se qualcuno dovesse chiedere, guardando un fiume, di indicare passato e futuro, in molti punterebbero il dito verso il passato a monte, e poi verso il futuro a valle: non può che essere così, da su a giù, questa è la direzione ovvia. O forse quella che pare più accreditata e sicura. Anche su questo, un prezioso libro mi ha svelato uno di questi piccoli (grandi!) cambi di prospettiva: "Cominciai a capire un fatto, e cioè che tutte le cose, per un pesce di fiume, vengono da monte: insetti, rami, foglie, qualsiasi cosa. Per questo guarda verso l’alto, in attesa di ciò che deve arrivare. Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte" (Le otto Montagne - P. Cognetti) Difficile tradurre in parole la dolcezza che queste minuscole scoperte portano. Si tratta davvero di qualcosa di simile al primo assaggio di un frutto che fino a quel momento ti era stato celato. Un po' come andare oltre i libri esposti in vetrina e trovare l'accesso al polveroso magazzino, dove le vere gemme rimangono protette da chi oserebbe scartarle. I veri maestri non ti dicono di non fare questo o quello, ma donano piuttosto strumenti per estrarre il meglio e valutare cosa è utile. Non si vantano della propria conoscenza nè credono di avere tutte le risposte, ma piuttosto insegnano a dare valore alle domande, per aiutare a rispondere (se proprio necessario) a proprio modo. Ma quindi, se davvero posso usare un ruscello come metafora dello scorrere dei miei giorni, allora il modo più adeguato per viverlo è entrarci, con i piedi immersi, a mollo. Sul palcoscenico dell'esistenza. Splash! Sento da valle i ricordi che tornano a me come salmoni che risalgono la corrente. Da monte non so cosa aspettarmi: la dissetante prospettiva di nuovi progetti o l'angoscia delle preoccupazioni? Per quel che ne so, quelle vacche lassù possono anche aver urinato nel ruscello. Non mi importa troppo. Il mio futuro è contaminato da costellazioni di insidie verso cui è utile orientare solo una certa porzione delle mie risorse. Se le dedicassi tutte, perderei gran parte di quel che va in scena ora. Siamo esposti a tante distrazioni, alcune involontarie altre molto strumentali ai fini di altri. Il fatto che tutta quanta la tecnologia e il commercio puntino alla connettività globale, mentre tutti gli strumenti di sviluppo della consapevolezza si dirigono in primo luogo verso il nostro interno, dovrebbe farci pensare. Ma è proprio questo "pensare" che richiede innanzitutto di mollare la presa sulle convinzioni che appaiono solide e certe. Tante volte i vicini a cui non parliamo sono portatori di verità molto più di quanto lo siano i telegiornali. Poveri noi: a momenti ci fidiamo più delle previsioni del meteo, che del tempo che c'è realmente. "Mettere in discussione" non significa "essere indifferenti", ma piuttosto aprire le nostre percezioni verso quella curiosità tipica dei bambini, verso il loro "voler guardare dentro le cose", imitando, scoprendo, toccando la vita con mano. Sarò sempre grato alle crisi che ho vissuto e ai maestri che mi hanno accompagnato da una tappa all'altra, soprattutto quelli che mi hanno dato compiti e strumenti, invece che regole da imparare e verità da digerire. Per sentire la vita che scorre, bisogna entrarci dentro, non c'è altro modo, piedi a mollo. Qualche giocoso mulinello, arriva alle mie caviglie dopo soffici acrobazie che guidano i miei occhi come burattini. Con sollievo, riscopro che il solletico è un modo molto immediato per tornare nell'unico momento in cui vivo, quello in cui sto respirando. Sento le caviglie, euforiche, scompisciarsi dalle risate. -.-.-.-.-.-.-.- "Son seduto sul molo nella baia Guardando le onde che rotolano via Son semplicemente seduto sul molo nella baia sprecando il mio tempo" Il vigneto degli yemeniti (una nuova metafora del viaggio nella vita, Ispirata dal quartiere Kerem HaTeimanim (letteralmente: il vigneto degli yemeniti) di Tel Aviv) - Vie scure e silenziose fanno da scudo a un cuore che pulsa. Camminare in questo quartiere ha il sapore della lenta scoperta mescolato al ricordo. Un po’ come trovare una foto persa da secoli, spuntata di sorpresa dal fondo del cassetto. La mia curiosità soffre il solletico di vista e olfatto, come quando noto il luccichio di qualche oggetto misterioso arrivare da un fondale marino. Cammino e osservo, in un passaggio fugace nel calore della semplicità. Rivivo momenti dimenticati che forse non ho mai vissuto, istanti che sono sempre con me, ma difficili da agguantare, ribelli come farfalle rincorse nei prati. C’è tanta gente che condivide spazi e ore, qui di fronte a me, in questo momento. La luce è calda, quel calore delle vie del sud Italia. Il mio corpo si anima di entusiasmo che sgorga a mo’ di sorgente d’acqua, come quando una voce calda e familiare arriva alle mie orecchie o una fragranza improvvisa mi riporta all’innocenza dell'infanzia. Colori e voci, un microcosmo che si autoalimenta. Esco dopo poco da questo geometrico intersecarsi di viottoli vivi piu’ che mai, vene che trasportano umanità primordiale. Mi lascio alle spalle un gioiello, un astro che non avevo mai notato in un cielo vecchio di millenni. Una metafora dei miei angoli piu’ profondi, quelli che ancora ho da scoprire e che sono tuttavia i primi ad aver visto la luce. Muovo i miei passi verso la prossima stella, come un vignaiolo alla ricerca del prossimo acino da assaggiare, per gustare il dolce della vita. -.-.-.-.-.-.-.-.- "Per vedere il mondo in un granello di sabbia e il paradiso in un fiore selvatico, tieni l’infinità nel palmo di una mano e l’eternità in un’ora" (W. Blake - Auguries of Innocence) Uno scorcio del quartiere Kerem HaTeimanim (letteralmente: il vigneto degli yemeniti) di Tel Aviv
Ita only (foto scattate ad Allschwil, BL (Svizzera), nel settembre 2019...con un'eccezione...) - Un film visto un paio di giorni fa, o meglio il suo titolo, ha dato un senso a diverse foto scattate nel mese di settembre. Come una penna che unisce i puntini in quel famoso gioco della settimana enigmistica, quelle parole misteriose hanno dato un significato a questa mia perenne tendenza ad inclinare lo sguardo verso terra, alla ricerca di chissà che. "La cenere é il bianco più puro" recita la traduzione letterale del titolo del film, che peraltro non annovero tra quelli che più mi hanno lasciato a bocca aperta. L'espressione fa riferimento al fatto che la cenere espulsa da un vulcano, risultato di processi ad altissime temperature, é senz'altro priva di ogni impurità, tanto da meritarsi un eventuale premio (se mai ne esistesse uno) per il "bianco più puro", anche se proprio bianca, la cenere, non è. Se da un lato il film ha le sue ragioni e la sua trama per giustificare questo titolo, dall'altro la mia interpretazione più spontanea ha portato nel mio minuscolo microcosmo una conferma e una carezza allo stesso tempo. E anche un briciolo di conforto. Si tende spesso a maledire l'epoca in cui si viviamo, celebrando e osannando le precedenti, sulla base di scarne certezze e poca voglia di trarre il meglio dai nostri tempi. E siccome sono fermamente convinto che si debba fare il contrario, come ho peraltro già accennato in passato, evidentemente persino l'asfalto diventa interlocutore e maestro, nell'esatto punto in cui si poggiano i miei occhi prima che lo facciano i miei passi. Non trovo casuale (cosa lo é, dopotutto?) il fatto che sia proprio l'asfalto ad accomunare le foto di cui parlavo, e che ho raccolto qui sotto. Una distesa piatta e grigia é evidentemente qualcosa di molto lontano dal bianco più puro, tanto da diventare per antonomasia quel che copre la vita, la spontaneità dei secoli, le molteplici sfumature del paesaggio. Ma grazie a queste foto (e agli istanti che rappresentano) ci ho visto altro, ovvero un palcoscenico per scene teatrali e potenti, metafore del nostro stesso passaggio su questa Terra. Il tutto rimane un mistero: il perché nasciamo, muoriamo, stiamo bene, stiamo male. Ma accettare la vità così com'é rappresenta la vera porta di accesso per capire il denso e profondo significato del nostro percorso. Su questo stesso asfalto non siamo i soli a nascere, tendendo fragili verso la luce... oppure ad aprire gli occhi verso ogni nuovo giorno che ci é concesso, raccogliendo i frutti di qualche scampolo d'infanzia passata di li. Non siamo i soli nemmeno a nutrirci di incontri, seppure in molti siano convinti di volerne (e poterne) fare a meno. Ma è inevitabile incontrarsi, condividere spazi e tempo... non meno inevitabile della chiusura del sipario. Insomma cenere e asfalto, come altri del resto, nascondono molto di più che l'apparente irreversibilità dei loro effetti. Con mia enorme (!!) sopresa, riscopro proprio ora di aver scattato questa foto esattamente 3 anni fa, nello stesso angolo di mondo a cui appartengono le precedenti foto. Non é cambiato nulla nel mondo in cui vivo. E' cambiato molto nel modo in cui vivo. ITA only Dopo aver immaginato il punto di vista di un fiore, ecco quel che un sentiero mi ha voluto sussurrare... -.-.-.-.-.-.-.-.- (un ringraziamento speciale alla fotografa, al mio fianco lungo il sentiero) -.-.-.-.-.-.- "Tranquillo, c'é il sentiero per arrivarci" Queste parole, ammettilo, portano spesso in te quel leggero e profumato tepore di qualcosa di conosciuto, come se in un lampo ritrovassi i tuoi riferimenti smarriti, in qualsiasi posto tu sia. Un sentiero conduce da un luogo a un altro, ti guida, questo lo sai, ma non senza sacrifici, miei e vostri. Quel che vedi di me, é la testimonianza del passaggio lento ma testardo di molti, senza il quale non sarei diventato una costante. Una costante tale da finire in qualche "almanacco del camminatore" (a proposito, sai che mi hanno dato anche un altisonante nome tutto mio?). C'é della poesia nel sentirsi il letto di un fiume, usurato da anni di sudore armato di scarponi. E tutto questo mi dà per certi versi un'età e quel dinamismo brioso tipico della vita come la sentite voi. E in effetti mi sento vivo, non c'é dubbio... ma che fatica ogni giorno! "Per cosa?" - ti chiederai. Vedi, sono come un pendolo che oscilla costantemente lungo la traiettoria dei suoi paradossi, baciando quei punti estremi che chiudono come un recinto la mia possibilità di comprensione. Sono la carezza alla collina, che segue le sue curve, ma anche lo sfregio trasversale sulla sua guancia. Sono la cucitura tra due punti, altrimenti difficili da unire, ma anche lo strappo in un paesaggio, l'interruzione slabbrata tra due lembi di seta. Sono la mappa per ritrovare la via, ma anche la traccia su cui molti si smarriscono, maledicendomi. É, per quel che ne so io, una missione che non ho scelto.
Ho smesso da tempo a provare a capire i come, i dove e i perché. Non me li domando più. Non me ne faccio nulla, e non mi hanno portato in alcun posto degno di interesse. Ma ecco cosa adoro di quel che sono! Potervi osservare mentre esplorate questa Terra, sentendomi il dito che sfoglia per voi le pagine di questi boschi e di questi monti, enciclopedia del nostro tempo. Ci sono momenti in cui non mi sento più quella ferita di terra e fango che sono, ma piuttosto il fiero autografo delle vostre gambe tra laghi e valichi, tra cime e prati scoscesi. I vostri sguardi lungo la via mutano in una progressione miracolosa, dall'indecisione alla determinazione, dalla disperazione all'euforia, dalla solitudine al sentirsi atomo dell'universo: tutto avviene spesso nel giro di qualche centinaio di metri. Vedo tutto, forse non potrei... Ma non temere, terrò i tuoi segreti. Torna a trovarmi, però, non so stare senza di voi. Sparirò... senza di voi. Porta quel tuo amico, la tua famiglia, o quella ragazza che tenevi per mano. Anche tuo papà, se puoi: vorrei conoscerlo. Prometto di essere discreto, davvero, nonostante la mia sensibilità abbia già fatto breccia in tante occasioni passate. Se sospirerò per la commozione, con folate d'aria tanto gelida da infastidire le orecchie, dì loro che sono le scie di un paio di farfalle che si rincorrono e se mi scapperà qualche lacrima, come l'altra volta, dì loro che è soltanto la pioggia. Un sentiero degno di questo nome, come spero di essere io, non conduce solamente a una destinazione, ma si concede come maestro umile ed invisibile per insegnamenti del tutto misteriosi, di cui solo il viandante farà esperienza diretta. Osservare i propri passi e l'orizzonte, osservando il respiro adagiarsi su questi pendii e gettando le intenzioni oltre le recinzioni. Ecco la chiave: io ne sono una metafora, potente. Usami. Seguimi! TI avviso: percorrendomi con la concentrazione che merito (che meriti!), vivrai esperienze forti, dure, ma piene e dense di significato. Non stupirti, quindi, se ti ritroverai commosso ed emozionato. Mi perdonerai, piuttosto, se io già lo sono. ITA only liberamente ispirata da una metafora ascoltata da un grande maestro - Mi hanno detto tante volte di "non pensarci", di concentrarmi su altro, per distrarmi da un problema. Da bimbo forse non capivo nemmeno cosa volesse dire, ora lo capisco ancora meno. Allora bastava andare a giocare, un'attività che non richiedeva alcun apprendimento: un pallone, delle macchinine o dei gavettoni e tutto andava come doveva andare. Col passare degli anni, ho imparato materie, argomenti, tecniche e strumenti per stare a questo mondo come la maggior parte di noi vuole che ci stia, ma ad un certo punto ho smesso di cogliere la spontaneità con cui l'entusiasmo più puro faceva breccia nei miei movimenti da bambino. Da una mezza dozzina d'anni, le montagne e qualche pratica venuta dall'oriente mi hanno faticosamente riportato sulla strada giusta, ma ci é voluto molto e ancora ce ne vorrà. “È facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta dolcezza l'indipendenza della solitudine” (Ralph Emerson) È un meccanismo molto bizzarro quello per cui l'adulto si ritrova a faticare come un matto per ritrovare quel che in realtà già ha sperimentato qualche decennio prima. A dirla tutta, a volte bastano pochi anni di studio imposto per dimenticare il sapore dello stupore. Il copione della vita sa essere molto perfido e impegnativo: la purezza di un cristallo ci viene mostrata in tenera età, quando ancora siamo completamente aperti a godere della meraviglia. Questo cristallo va poi a ricoprirsi di polvere ed incrostazioni coi depositi dell'esperienza, delle convenzioni sociali e delle discutibili convinzioni su cosa è importante e cosa non lo è. Ed è così che, più o meno lentamente, iniziamo a divergere, ad allontanarci dal centro, come un satellite che sfugge all'orbita una volta raggiunta la velocità di fuga. Per qualcuno non c'é punto di ritorno, il cristallo é troppo sepolto ormai, e la distrazione è tale che anche nell'eventualità dovesse apparire, la sua purezza non verrebbe notata. Per altri c'é un punto di svolta in cui si inizia a provare a ritrovare il sentiero, con pratiche dalle più semplici alle più esoteriche. Solo alcuni, però, riescono a far breccia nella nebbia della confusione, e tornano testimoni (consapevoli) di quei momenti di sublime estasi, che non si possono né generare nè afferrare, ma soltanto assaggiare. Sono, questi, momenti di rara limpidezza, dove le parole non bastano più per racchiudere una sensazione nel recinto di una descrizione. Tante (troppe?) tecniche arrivano a noi promuovendosi come strumenti infallibilii per aiutarci a "vedere" quei momenti, e probabilmente alcune funzionano pure, a patto di perseverare e praticare con costanza, perchè i vari passi diano i loro frutti. Ma le tecniche più affidabili, io credo, sono quelle che celebrano anche l'immediatezza e la profonda attualità/accessibilità di quell'essenza da (ri)sperimentare, e non solo l'ostico percorso che ad essa conduce. Come dire: allenati sì per correre fino al traguardo, ma sapendo che il traguardo è già qui. Forse non c'è nemmeno un traguardo, di certo non nell'accezione a cui siamo abituati: la competizione è decisamente estranea alla ricerca dell'innocenza. "Non darmi amore, non darmi fede, nemmeno saggezza oppure orgoglio, dammi l'innocenza piuttosto" (da "The Crow, the Owl and the Dove" - Nightwish) Quel che dobbiamo vedere é pardossalmente già davanti ai nostri occhi, solo non sappiamo indicarlo con precisione. Dobbiamo diventare come "bambini, nel nostro petto", come ho letto da qualche parte. Provate a chiedere a un pesce di indicarvi dov'è l'acqua: una vita passata a nuotarci dentro non lo rendono ancora in grado di puntare il dito (o meglio, la pinna) verso qualcosa di univocamente identificabile, in quanto "tutto attorno". La metafora funziona bene anche per noi, sbaglia solo nella direzione: per il pesce è tutto attorno, per noi è tutto dentro. Tutta questa impossibilità di indicare e produrre quei momenti, genera una certa frustrazione, in me per primo, ma sono convinto (e mi hanno insegnato) che prima si sposta l'attenzione dal controllo all'osservazione, e prima ci apriamo a quegli attimi di estrema chiarezza. Se è vero che possiamo solo essere testimoni di questi istanti senza poterli generare e afferrare, è altrettanto vero che il nostro corpo sa ricordare bene quel che ha provato in quei frangenti. Sono spesso frazioni di secondo, dove i sensi trovano un altro campo di applicazione, portando a noi sapori e odori senza che lingua o naso vengano realmente stimolati. Sono queste effimere tracce ad incidere ricordi che diventano riferimenti, àncore da gettare in mare quando la nostra navigazione si farà più turbolenta. Come mare mosso dal vento, la vita si adatta e si adagia come un lenzuolo sul nostro corpo, prendendo forme e movenze di un'esperienza sostenuta dal respiro e decorata di emozioni. Un'esperienza che anela a trovare rifugio nel lasciare andare, con lo sguardo spesso all'insù, a guardare quei due lembi cotonosi di cumuli di bel tempo, che lentamente nascondono quello sprazzo di azzurro che è già da dimenticare. - -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
"Ho detto alla mia anima di stare ferma, e di stare ad aspettare senza sperare. Perché sperare sarebbe sperare la cosa sbagliata; Di stare ad aspettare senza amore. Perché l’amore sarebbe amore per la cosa sbagliata; Ma resta ancora la fede. Ma fede e amore e speranza sono tutte nell’attesa. Aspetta senza pensare, perché non sei pronto per pensare. E allora l’oscurità sarà luce, e l’immobilità danza" (da "East Coker" - T.S. Eliot) (ITA only) momenti, doni e insegnamenti da un compleanno da ricordare. - Un altro giro intorno alla stella madre. É la candelina che ho di fronte a ricordarmi in che punto dell'orbita sono: l'unico momento dell'anno in cui si soffia per celebrare qualcosa. Un soffio che porta tanti significati, uno su tutti lo scorrere dei giorni. Il presente si fa passato, arricciandosi sull'asse del tempo, come i tentacoli di un polpo immersi in acqua bollente. Gli istanti passano veloci, l'uno invita quello successivo, in una successione di momenti che pare scandita da una meschina clessidra, ma che nasconde la pennellata atarassica di un pittore, la vibrazione febbrile delle bandiere tibetane, un profondo respiro ad occhi chiusi. Immagino di guardare un ruscello: dov'è il passato e dove il futuro? L'acqua fluisce dal suo ieri a monte al suo domani a valle, ma per colui che guarda il torrente, la prospettiva é ben diversa: “il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte" (*). Niente è più come prima, tutto è nell'adesso, una scogliera-palcoscenico per un futuro pronto a tuffarsi per diventare obsoleto (**). Odori, sapori, brezza e vento: effimeri trasportatori di emozioni. Quel che conta è minuzioso, invisibile agli occhi (***), richiede la più spontanea contemplazione. Dannazione, come ha fatto la cosa più spontanea a diventare la più ostica? Ma a tratti, se mi lascio andare, riesco ad esserne testimone. Guarda! Tutto è così intenso ed elaborato, eppure meticolosamente ripiegato nella piu minuscola frazione di tempo, come un maestoso galeone racchiuso in una stanza, un oceano raccolto in una goccia di essenza. Qualcuno già lo disse: "Per vedere il mondo in un granello di sabbia e il paradiso in un fiore selvatico, tieni l'infinito nel palmo della mano e l'eternità nell'arco di un'ora (****)". Niente è casuale, niente è superfluo. Così tutto ha un senso. Mi affascina come i merli conoscano molto precisamente la gradazione di blu del cielo con la quale è opportuno iniziare a cantare al mattino. Non troppo presto, non troppo tardi. Potessimo, noi, mettere la stessa cura e lo stesso tempismo nei nostri gesti (in)consapevoli. I veri templi sono i dettagli. Le vere preghiere sono le parole non dette, che evaporano in carezze e sguardi. Soffio sulla candelina. Ora è spenta, non lo era poco fa. La fiamma se ne va, il sorriso di chi ho di fronte si fa piu' grande. Inizio una nuova orbita, e il naufragar m'è dolce in questo mare (*****). -.-.-.-.-.-.-.- "Un po' ubriaco, il passo leggero, nel vento primaverile" (Koan tratto da Ryokan Pays Natal) Riferimenti:
* (P. Cognetti - Le otto montagne) ** (liberamente ispirato da una citazione di J. Joyce) *** (citazione rubata da "Il Piccolo Principe", Antoine de Saint-Exupéry) **** (W. Blake - Auguries of Innocence) ***** (G. Leopardi - L'infinito) |
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