ITA only liberamente ispirata da una metafora ascoltata da un grande maestro - Mi hanno detto tante volte di "non pensarci", di concentrarmi su altro, per distrarmi da un problema. Da bimbo forse non capivo nemmeno cosa volesse dire, ora lo capisco ancora meno. Allora bastava andare a giocare, un'attività che non richiedeva alcun apprendimento: un pallone, delle macchinine o dei gavettoni e tutto andava come doveva andare. Col passare degli anni, ho imparato materie, argomenti, tecniche e strumenti per stare a questo mondo come la maggior parte di noi vuole che ci stia, ma ad un certo punto ho smesso di cogliere la spontaneità con cui l'entusiasmo più puro faceva breccia nei miei movimenti da bambino. Da una mezza dozzina d'anni, le montagne e qualche pratica venuta dall'oriente mi hanno faticosamente riportato sulla strada giusta, ma ci é voluto molto e ancora ce ne vorrà. “È facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta dolcezza l'indipendenza della solitudine” (Ralph Emerson) È un meccanismo molto bizzarro quello per cui l'adulto si ritrova a faticare come un matto per ritrovare quel che in realtà già ha sperimentato qualche decennio prima. A dirla tutta, a volte bastano pochi anni di studio imposto per dimenticare il sapore dello stupore. Il copione della vita sa essere molto perfido e impegnativo: la purezza di un cristallo ci viene mostrata in tenera età, quando ancora siamo completamente aperti a godere della meraviglia. Questo cristallo va poi a ricoprirsi di polvere ed incrostazioni coi depositi dell'esperienza, delle convenzioni sociali e delle discutibili convinzioni su cosa è importante e cosa non lo è. Ed è così che, più o meno lentamente, iniziamo a divergere, ad allontanarci dal centro, come un satellite che sfugge all'orbita una volta raggiunta la velocità di fuga. Per qualcuno non c'é punto di ritorno, il cristallo é troppo sepolto ormai, e la distrazione è tale che anche nell'eventualità dovesse apparire, la sua purezza non verrebbe notata. Per altri c'é un punto di svolta in cui si inizia a provare a ritrovare il sentiero, con pratiche dalle più semplici alle più esoteriche. Solo alcuni, però, riescono a far breccia nella nebbia della confusione, e tornano testimoni (consapevoli) di quei momenti di sublime estasi, che non si possono né generare nè afferrare, ma soltanto assaggiare. Sono, questi, momenti di rara limpidezza, dove le parole non bastano più per racchiudere una sensazione nel recinto di una descrizione. Tante (troppe?) tecniche arrivano a noi promuovendosi come strumenti infallibilii per aiutarci a "vedere" quei momenti, e probabilmente alcune funzionano pure, a patto di perseverare e praticare con costanza, perchè i vari passi diano i loro frutti. Ma le tecniche più affidabili, io credo, sono quelle che celebrano anche l'immediatezza e la profonda attualità/accessibilità di quell'essenza da (ri)sperimentare, e non solo l'ostico percorso che ad essa conduce. Come dire: allenati sì per correre fino al traguardo, ma sapendo che il traguardo è già qui. Forse non c'è nemmeno un traguardo, di certo non nell'accezione a cui siamo abituati: la competizione è decisamente estranea alla ricerca dell'innocenza. "Non darmi amore, non darmi fede, nemmeno saggezza oppure orgoglio, dammi l'innocenza piuttosto" (da "The Crow, the Owl and the Dove" - Nightwish) Quel che dobbiamo vedere é pardossalmente già davanti ai nostri occhi, solo non sappiamo indicarlo con precisione. Dobbiamo diventare come "bambini, nel nostro petto", come ho letto da qualche parte. Provate a chiedere a un pesce di indicarvi dov'è l'acqua: una vita passata a nuotarci dentro non lo rendono ancora in grado di puntare il dito (o meglio, la pinna) verso qualcosa di univocamente identificabile, in quanto "tutto attorno". La metafora funziona bene anche per noi, sbaglia solo nella direzione: per il pesce è tutto attorno, per noi è tutto dentro. Tutta questa impossibilità di indicare e produrre quei momenti, genera una certa frustrazione, in me per primo, ma sono convinto (e mi hanno insegnato) che prima si sposta l'attenzione dal controllo all'osservazione, e prima ci apriamo a quegli attimi di estrema chiarezza. Se è vero che possiamo solo essere testimoni di questi istanti senza poterli generare e afferrare, è altrettanto vero che il nostro corpo sa ricordare bene quel che ha provato in quei frangenti. Sono spesso frazioni di secondo, dove i sensi trovano un altro campo di applicazione, portando a noi sapori e odori senza che lingua o naso vengano realmente stimolati. Sono queste effimere tracce ad incidere ricordi che diventano riferimenti, àncore da gettare in mare quando la nostra navigazione si farà più turbolenta. Come mare mosso dal vento, la vita si adatta e si adagia come un lenzuolo sul nostro corpo, prendendo forme e movenze di un'esperienza sostenuta dal respiro e decorata di emozioni. Un'esperienza che anela a trovare rifugio nel lasciare andare, con lo sguardo spesso all'insù, a guardare quei due lembi cotonosi di cumuli di bel tempo, che lentamente nascondono quello sprazzo di azzurro che è già da dimenticare. - -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
"Ho detto alla mia anima di stare ferma, e di stare ad aspettare senza sperare. Perché sperare sarebbe sperare la cosa sbagliata; Di stare ad aspettare senza amore. Perché l’amore sarebbe amore per la cosa sbagliata; Ma resta ancora la fede. Ma fede e amore e speranza sono tutte nell’attesa. Aspetta senza pensare, perché non sei pronto per pensare. E allora l’oscurità sarà luce, e l’immobilità danza" (da "East Coker" - T.S. Eliot)
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