Il vigneto degli yemeniti (una nuova metafora del viaggio nella vita, Ispirata dal quartiere Kerem HaTeimanim (letteralmente: il vigneto degli yemeniti) di Tel Aviv) - Vie scure e silenziose fanno da scudo a un cuore che pulsa. Camminare in questo quartiere ha il sapore della lenta scoperta mescolato al ricordo. Un po’ come trovare una foto persa da secoli, spuntata di sorpresa dal fondo del cassetto. La mia curiosità soffre il solletico di vista e olfatto, come quando noto il luccichio di qualche oggetto misterioso arrivare da un fondale marino. Cammino e osservo, in un passaggio fugace nel calore della semplicità. Rivivo momenti dimenticati che forse non ho mai vissuto, istanti che sono sempre con me, ma difficili da agguantare, ribelli come farfalle rincorse nei prati. C’è tanta gente che condivide spazi e ore, qui di fronte a me, in questo momento. La luce è calda, quel calore delle vie del sud Italia. Il mio corpo si anima di entusiasmo che sgorga a mo’ di sorgente d’acqua, come quando una voce calda e familiare arriva alle mie orecchie o una fragranza improvvisa mi riporta all’innocenza dell'infanzia. Colori e voci, un microcosmo che si autoalimenta. Esco dopo poco da questo geometrico intersecarsi di viottoli vivi piu’ che mai, vene che trasportano umanità primordiale. Mi lascio alle spalle un gioiello, un astro che non avevo mai notato in un cielo vecchio di millenni. Una metafora dei miei angoli piu’ profondi, quelli che ancora ho da scoprire e che sono tuttavia i primi ad aver visto la luce. Muovo i miei passi verso la prossima stella, come un vignaiolo alla ricerca del prossimo acino da assaggiare, per gustare il dolce della vita. -.-.-.-.-.-.-.-.- "Per vedere il mondo in un granello di sabbia e il paradiso in un fiore selvatico, tieni l’infinità nel palmo di una mano e l’eternità in un’ora" (W. Blake - Auguries of Innocence) Uno scorcio del quartiere Kerem HaTeimanim (letteralmente: il vigneto degli yemeniti) di Tel Aviv
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Ita only (foto scattate ad Allschwil, BL (Svizzera), nel settembre 2019...con un'eccezione...) - Un film visto un paio di giorni fa, o meglio il suo titolo, ha dato un senso a diverse foto scattate nel mese di settembre. Come una penna che unisce i puntini in quel famoso gioco della settimana enigmistica, quelle parole misteriose hanno dato un significato a questa mia perenne tendenza ad inclinare lo sguardo verso terra, alla ricerca di chissà che. "La cenere é il bianco più puro" recita la traduzione letterale del titolo del film, che peraltro non annovero tra quelli che più mi hanno lasciato a bocca aperta. L'espressione fa riferimento al fatto che la cenere espulsa da un vulcano, risultato di processi ad altissime temperature, é senz'altro priva di ogni impurità, tanto da meritarsi un eventuale premio (se mai ne esistesse uno) per il "bianco più puro", anche se proprio bianca, la cenere, non è. Se da un lato il film ha le sue ragioni e la sua trama per giustificare questo titolo, dall'altro la mia interpretazione più spontanea ha portato nel mio minuscolo microcosmo una conferma e una carezza allo stesso tempo. E anche un briciolo di conforto. Si tende spesso a maledire l'epoca in cui si viviamo, celebrando e osannando le precedenti, sulla base di scarne certezze e poca voglia di trarre il meglio dai nostri tempi. E siccome sono fermamente convinto che si debba fare il contrario, come ho peraltro già accennato in passato, evidentemente persino l'asfalto diventa interlocutore e maestro, nell'esatto punto in cui si poggiano i miei occhi prima che lo facciano i miei passi. Non trovo casuale (cosa lo é, dopotutto?) il fatto che sia proprio l'asfalto ad accomunare le foto di cui parlavo, e che ho raccolto qui sotto. Una distesa piatta e grigia é evidentemente qualcosa di molto lontano dal bianco più puro, tanto da diventare per antonomasia quel che copre la vita, la spontaneità dei secoli, le molteplici sfumature del paesaggio. Ma grazie a queste foto (e agli istanti che rappresentano) ci ho visto altro, ovvero un palcoscenico per scene teatrali e potenti, metafore del nostro stesso passaggio su questa Terra. Il tutto rimane un mistero: il perché nasciamo, muoriamo, stiamo bene, stiamo male. Ma accettare la vità così com'é rappresenta la vera porta di accesso per capire il denso e profondo significato del nostro percorso. Su questo stesso asfalto non siamo i soli a nascere, tendendo fragili verso la luce... oppure ad aprire gli occhi verso ogni nuovo giorno che ci é concesso, raccogliendo i frutti di qualche scampolo d'infanzia passata di li. Non siamo i soli nemmeno a nutrirci di incontri, seppure in molti siano convinti di volerne (e poterne) fare a meno. Ma è inevitabile incontrarsi, condividere spazi e tempo... non meno inevitabile della chiusura del sipario. Insomma cenere e asfalto, come altri del resto, nascondono molto di più che l'apparente irreversibilità dei loro effetti. Con mia enorme (!!) sopresa, riscopro proprio ora di aver scattato questa foto esattamente 3 anni fa, nello stesso angolo di mondo a cui appartengono le precedenti foto. Non é cambiato nulla nel mondo in cui vivo. E' cambiato molto nel modo in cui vivo. ITA only Dopo aver immaginato il punto di vista di un fiore, ecco quel che un sentiero mi ha voluto sussurrare... -.-.-.-.-.-.-.-.- (un ringraziamento speciale alla fotografa, al mio fianco lungo il sentiero) -.-.-.-.-.-.- "Tranquillo, c'é il sentiero per arrivarci" Queste parole, ammettilo, portano spesso in te quel leggero e profumato tepore di qualcosa di conosciuto, come se in un lampo ritrovassi i tuoi riferimenti smarriti, in qualsiasi posto tu sia. Un sentiero conduce da un luogo a un altro, ti guida, questo lo sai, ma non senza sacrifici, miei e vostri. Quel che vedi di me, é la testimonianza del passaggio lento ma testardo di molti, senza il quale non sarei diventato una costante. Una costante tale da finire in qualche "almanacco del camminatore" (a proposito, sai che mi hanno dato anche un altisonante nome tutto mio?). C'é della poesia nel sentirsi il letto di un fiume, usurato da anni di sudore armato di scarponi. E tutto questo mi dà per certi versi un'età e quel dinamismo brioso tipico della vita come la sentite voi. E in effetti mi sento vivo, non c'é dubbio... ma che fatica ogni giorno! "Per cosa?" - ti chiederai. Vedi, sono come un pendolo che oscilla costantemente lungo la traiettoria dei suoi paradossi, baciando quei punti estremi che chiudono come un recinto la mia possibilità di comprensione. Sono la carezza alla collina, che segue le sue curve, ma anche lo sfregio trasversale sulla sua guancia. Sono la cucitura tra due punti, altrimenti difficili da unire, ma anche lo strappo in un paesaggio, l'interruzione slabbrata tra due lembi di seta. Sono la mappa per ritrovare la via, ma anche la traccia su cui molti si smarriscono, maledicendomi. É, per quel che ne so io, una missione che non ho scelto.
Ho smesso da tempo a provare a capire i come, i dove e i perché. Non me li domando più. Non me ne faccio nulla, e non mi hanno portato in alcun posto degno di interesse. Ma ecco cosa adoro di quel che sono! Potervi osservare mentre esplorate questa Terra, sentendomi il dito che sfoglia per voi le pagine di questi boschi e di questi monti, enciclopedia del nostro tempo. Ci sono momenti in cui non mi sento più quella ferita di terra e fango che sono, ma piuttosto il fiero autografo delle vostre gambe tra laghi e valichi, tra cime e prati scoscesi. I vostri sguardi lungo la via mutano in una progressione miracolosa, dall'indecisione alla determinazione, dalla disperazione all'euforia, dalla solitudine al sentirsi atomo dell'universo: tutto avviene spesso nel giro di qualche centinaio di metri. Vedo tutto, forse non potrei... Ma non temere, terrò i tuoi segreti. Torna a trovarmi, però, non so stare senza di voi. Sparirò... senza di voi. Porta quel tuo amico, la tua famiglia, o quella ragazza che tenevi per mano. Anche tuo papà, se puoi: vorrei conoscerlo. Prometto di essere discreto, davvero, nonostante la mia sensibilità abbia già fatto breccia in tante occasioni passate. Se sospirerò per la commozione, con folate d'aria tanto gelida da infastidire le orecchie, dì loro che sono le scie di un paio di farfalle che si rincorrono e se mi scapperà qualche lacrima, come l'altra volta, dì loro che è soltanto la pioggia. Un sentiero degno di questo nome, come spero di essere io, non conduce solamente a una destinazione, ma si concede come maestro umile ed invisibile per insegnamenti del tutto misteriosi, di cui solo il viandante farà esperienza diretta. Osservare i propri passi e l'orizzonte, osservando il respiro adagiarsi su questi pendii e gettando le intenzioni oltre le recinzioni. Ecco la chiave: io ne sono una metafora, potente. Usami. Seguimi! TI avviso: percorrendomi con la concentrazione che merito (che meriti!), vivrai esperienze forti, dure, ma piene e dense di significato. Non stupirti, quindi, se ti ritroverai commosso ed emozionato. Mi perdonerai, piuttosto, se io già lo sono. ITA only liberamente ispirata da una metafora ascoltata da un grande maestro - Mi hanno detto tante volte di "non pensarci", di concentrarmi su altro, per distrarmi da un problema. Da bimbo forse non capivo nemmeno cosa volesse dire, ora lo capisco ancora meno. Allora bastava andare a giocare, un'attività che non richiedeva alcun apprendimento: un pallone, delle macchinine o dei gavettoni e tutto andava come doveva andare. Col passare degli anni, ho imparato materie, argomenti, tecniche e strumenti per stare a questo mondo come la maggior parte di noi vuole che ci stia, ma ad un certo punto ho smesso di cogliere la spontaneità con cui l'entusiasmo più puro faceva breccia nei miei movimenti da bambino. Da una mezza dozzina d'anni, le montagne e qualche pratica venuta dall'oriente mi hanno faticosamente riportato sulla strada giusta, ma ci é voluto molto e ancora ce ne vorrà. “È facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta dolcezza l'indipendenza della solitudine” (Ralph Emerson) È un meccanismo molto bizzarro quello per cui l'adulto si ritrova a faticare come un matto per ritrovare quel che in realtà già ha sperimentato qualche decennio prima. A dirla tutta, a volte bastano pochi anni di studio imposto per dimenticare il sapore dello stupore. Il copione della vita sa essere molto perfido e impegnativo: la purezza di un cristallo ci viene mostrata in tenera età, quando ancora siamo completamente aperti a godere della meraviglia. Questo cristallo va poi a ricoprirsi di polvere ed incrostazioni coi depositi dell'esperienza, delle convenzioni sociali e delle discutibili convinzioni su cosa è importante e cosa non lo è. Ed è così che, più o meno lentamente, iniziamo a divergere, ad allontanarci dal centro, come un satellite che sfugge all'orbita una volta raggiunta la velocità di fuga. Per qualcuno non c'é punto di ritorno, il cristallo é troppo sepolto ormai, e la distrazione è tale che anche nell'eventualità dovesse apparire, la sua purezza non verrebbe notata. Per altri c'é un punto di svolta in cui si inizia a provare a ritrovare il sentiero, con pratiche dalle più semplici alle più esoteriche. Solo alcuni, però, riescono a far breccia nella nebbia della confusione, e tornano testimoni (consapevoli) di quei momenti di sublime estasi, che non si possono né generare nè afferrare, ma soltanto assaggiare. Sono, questi, momenti di rara limpidezza, dove le parole non bastano più per racchiudere una sensazione nel recinto di una descrizione. Tante (troppe?) tecniche arrivano a noi promuovendosi come strumenti infallibilii per aiutarci a "vedere" quei momenti, e probabilmente alcune funzionano pure, a patto di perseverare e praticare con costanza, perchè i vari passi diano i loro frutti. Ma le tecniche più affidabili, io credo, sono quelle che celebrano anche l'immediatezza e la profonda attualità/accessibilità di quell'essenza da (ri)sperimentare, e non solo l'ostico percorso che ad essa conduce. Come dire: allenati sì per correre fino al traguardo, ma sapendo che il traguardo è già qui. Forse non c'è nemmeno un traguardo, di certo non nell'accezione a cui siamo abituati: la competizione è decisamente estranea alla ricerca dell'innocenza. "Non darmi amore, non darmi fede, nemmeno saggezza oppure orgoglio, dammi l'innocenza piuttosto" (da "The Crow, the Owl and the Dove" - Nightwish) Quel che dobbiamo vedere é pardossalmente già davanti ai nostri occhi, solo non sappiamo indicarlo con precisione. Dobbiamo diventare come "bambini, nel nostro petto", come ho letto da qualche parte. Provate a chiedere a un pesce di indicarvi dov'è l'acqua: una vita passata a nuotarci dentro non lo rendono ancora in grado di puntare il dito (o meglio, la pinna) verso qualcosa di univocamente identificabile, in quanto "tutto attorno". La metafora funziona bene anche per noi, sbaglia solo nella direzione: per il pesce è tutto attorno, per noi è tutto dentro. Tutta questa impossibilità di indicare e produrre quei momenti, genera una certa frustrazione, in me per primo, ma sono convinto (e mi hanno insegnato) che prima si sposta l'attenzione dal controllo all'osservazione, e prima ci apriamo a quegli attimi di estrema chiarezza. Se è vero che possiamo solo essere testimoni di questi istanti senza poterli generare e afferrare, è altrettanto vero che il nostro corpo sa ricordare bene quel che ha provato in quei frangenti. Sono spesso frazioni di secondo, dove i sensi trovano un altro campo di applicazione, portando a noi sapori e odori senza che lingua o naso vengano realmente stimolati. Sono queste effimere tracce ad incidere ricordi che diventano riferimenti, àncore da gettare in mare quando la nostra navigazione si farà più turbolenta. Come mare mosso dal vento, la vita si adatta e si adagia come un lenzuolo sul nostro corpo, prendendo forme e movenze di un'esperienza sostenuta dal respiro e decorata di emozioni. Un'esperienza che anela a trovare rifugio nel lasciare andare, con lo sguardo spesso all'insù, a guardare quei due lembi cotonosi di cumuli di bel tempo, che lentamente nascondono quello sprazzo di azzurro che è già da dimenticare. - -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
"Ho detto alla mia anima di stare ferma, e di stare ad aspettare senza sperare. Perché sperare sarebbe sperare la cosa sbagliata; Di stare ad aspettare senza amore. Perché l’amore sarebbe amore per la cosa sbagliata; Ma resta ancora la fede. Ma fede e amore e speranza sono tutte nell’attesa. Aspetta senza pensare, perché non sei pronto per pensare. E allora l’oscurità sarà luce, e l’immobilità danza" (da "East Coker" - T.S. Eliot) (ITA only) Lacrima oltre il crinale Le gambe mi hanno portato fin quassù Rocce, crepacci ed aspri sentieri sono ormai alle spalle Un passo alla volta, su crinali pettinati dal vento. Le mani, queste ribelli appendici ancillari, non volevano essere da meno Lungo avvallamenti e forme sinuose di uno scheletro vestito di velluto Tutto sotto i miei palmi Una carezza alla volta, fino al culmine di queste guance arrossate Colline al tramonto, che fanno da culla ai misteri più intimi. Sono osservatore privilegiato di qualcosa che forse non son degno di vedere. La vista mi spezza il fiato, non prima di aver preteso un'inspirazione dai colori vastissimi. Un piccolo specchio d'acqua, che appare all'improvviso, un gioiello di queste altezze. Lo trovo in una conca, che si é fatta giaciglio di un'emozione improvvisa. Acqua, sorta dal nulla: da dove vieni? Chi ti ha portato qui? Una lacrima scesa dalla cima o una sorgente nelle profondità dell'animo? Quanto erano bui i crepacci in cui te ne stavi? Non colgo la tua origine, misteriosa e riservata, ma mi tuffo nei riflessi del tuo messaggio. I pugni mi si stringono, temo forse che l'entusiasmo possa sfuggire di mano? Capisco ora l'enorme differenza tra le parole "monte" e "montagna": con la prima posso puntare il dito verso una cima e darle un nome, con la seconda posso puntare il dito verso quel punto speciale dentro me, così da lasciarmi abbracciare dalla vastità di queste emozioni marcatamente femminili, come il vocabolo che le accompagna, come il tuo sguardo che fa da specchio al mio. La stanchezza arriva improvvisa, dopo l'intuizione e la meraviglia. Appoggio la guancia sul pendio di questa schiena calda, mi addormento e mi risveglio, ripetutamente, tra i sobbalzi del sonno testardo di un paio d'occhi che vuole rimanere vigile e continuare a guardare, per non perdersi un solo secondo. (ITA only) momenti, doni e insegnamenti da un compleanno da ricordare. - Un altro giro intorno alla stella madre. É la candelina che ho di fronte a ricordarmi in che punto dell'orbita sono: l'unico momento dell'anno in cui si soffia per celebrare qualcosa. Un soffio che porta tanti significati, uno su tutti lo scorrere dei giorni. Il presente si fa passato, arricciandosi sull'asse del tempo, come i tentacoli di un polpo immersi in acqua bollente. Gli istanti passano veloci, l'uno invita quello successivo, in una successione di momenti che pare scandita da una meschina clessidra, ma che nasconde la pennellata atarassica di un pittore, la vibrazione febbrile delle bandiere tibetane, un profondo respiro ad occhi chiusi. Immagino di guardare un ruscello: dov'è il passato e dove il futuro? L'acqua fluisce dal suo ieri a monte al suo domani a valle, ma per colui che guarda il torrente, la prospettiva é ben diversa: “il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte" (*). Niente è più come prima, tutto è nell'adesso, una scogliera-palcoscenico per un futuro pronto a tuffarsi per diventare obsoleto (**). Odori, sapori, brezza e vento: effimeri trasportatori di emozioni. Quel che conta è minuzioso, invisibile agli occhi (***), richiede la più spontanea contemplazione. Dannazione, come ha fatto la cosa più spontanea a diventare la più ostica? Ma a tratti, se mi lascio andare, riesco ad esserne testimone. Guarda! Tutto è così intenso ed elaborato, eppure meticolosamente ripiegato nella piu minuscola frazione di tempo, come un maestoso galeone racchiuso in una stanza, un oceano raccolto in una goccia di essenza. Qualcuno già lo disse: "Per vedere il mondo in un granello di sabbia e il paradiso in un fiore selvatico, tieni l'infinito nel palmo della mano e l'eternità nell'arco di un'ora (****)". Niente è casuale, niente è superfluo. Così tutto ha un senso. Mi affascina come i merli conoscano molto precisamente la gradazione di blu del cielo con la quale è opportuno iniziare a cantare al mattino. Non troppo presto, non troppo tardi. Potessimo, noi, mettere la stessa cura e lo stesso tempismo nei nostri gesti (in)consapevoli. I veri templi sono i dettagli. Le vere preghiere sono le parole non dette, che evaporano in carezze e sguardi. Soffio sulla candelina. Ora è spenta, non lo era poco fa. La fiamma se ne va, il sorriso di chi ho di fronte si fa piu' grande. Inizio una nuova orbita, e il naufragar m'è dolce in questo mare (*****). -.-.-.-.-.-.-.- "Un po' ubriaco, il passo leggero, nel vento primaverile" (Koan tratto da Ryokan Pays Natal) Riferimenti:
* (P. Cognetti - Le otto montagne) ** (liberamente ispirato da una citazione di J. Joyce) *** (citazione rubata da "Il Piccolo Principe", Antoine de Saint-Exupéry) **** (W. Blake - Auguries of Innocence) ***** (G. Leopardi - L'infinito) (ITA then ENG) Tratto da una storia vera. Di più: dalle mie camminate mattutine. I lavori stradali e di riqualificazione del territorio mi fanno sempre soffrire, specie se coinvolgono il taglio di alberi, la distruzione di bellezze longeve o l'estirpazione ingiustificata di perle di tranquillità. Ma così va il mondo: il cambiamento é l'unica costante. Alla sofferenza (specie dei primi giorni) é tuttavia seguita la gioia inaspettata che mi ha colto nelle mie assopite camminate verso l'ufficio, giacchè un vero e proprio dono é apparso ad arricchire le mie mattine. Indossa due guanti bianchi, un gilet ad alta visibilità (con tanto di nome dell'azienda) e un cappellino nero usurato. Dirige il traffico, e fa il turno dalla mattina presto a dopo pranzo. Quei pochi metri quadrati a quell'incrocio sono il suo ufficio di questi giorni, in una routine che lo ha portato ad abbronzare il suo volto e ad entusiasmare il mio. "Che ci sarà mai di così entusiasmante?" - qualcuno si chiederà. Permettetemi una digressione. Qualche mese fa ho sentito parlare del dipinto de "La lattaia" di Vermeer . In quel contesto veniva usato come esempio di un momento di consapevolezza, di uno di quei rari istanti in cui siamo assorti ma presenti nei gesti apparentemente più inutili (ma in realtà profondamente incarnati) della nostra esperienza. Per dirla come David le Breton: "camminare é inutile, come tutte le attività essenziali. [...] non porta a niente se non a se stessi [...]". Andai ovviamente a cercare il quadro, che raffigura una donna robusta mentre versa del latte: niente di più. Ma è la totale immersione nel gesto e l'atmosfera silenziosa che la avvolge a fare breccia negli occhi (e nell'animo) dell'osservatore. "La Lattaia" (Johannes Vermeer) * -.-.-.-.-.-.- Ci sono ovviamente migliaia di altri possibili esempi, secondo le varie interpretazioni soggettive. Mi piace l'idea proporre questa foto, raffigurante Niki Lauda e Ronnie Peterson, due abituati ad andare forte colti in un istante di quella che pare lenta e limpida spensieratezza. Niki Lauda & Ronnie Peterson ** (anni '70) -.-.-.-.-.- Tornando alla lattaia, mai avrei pensato di rammentare questo dipinto guardando un uomo che dirige il traffico. Non solo non ho mai visto nessuno dirigere il traffico così, ma poche volte ho potuto osservare così tanta cura e gioia nel lavoro, così tanta voglia di guidare e servire, svolgendo l'essenziale con la massima grazia. Mi hai emozionato, e mi emozioni ogni mattina, persino quando di traffico da dirigere non ce n'é e passeggi avanti indietro sul marciapiede con una presenza non inferiore a quella cercata in un ritiro di meditazione vipassana. Quei gesti lenti e precisi, arricchiti di bianchi guanti, fanno di te un mimo in incognito. Un direttore d'orchestra travestito da operaio, una guida spirituale travestita da inserviente, un essere umano pervaso di umanità, con un enorme rispetto per ogni professione che ho elencato e che ti capiti tra le mani. Parlando di mimi, mi viene in mente un incontro che ho fatto su un aereo. Parlare con quell'attore professionista mi ha fatto capire non solo quanto il linguaggio del corpo sia fondamentale, ma anche come in silenzio si possano trasmettere concetti imponenti, persino in maniera più genuina e cristallina delle parole. Ieri mattina mi sono diligentemente fermato sul ciglio del marciapiede, per aspettare il tuo gesto di approvazione alla mia traversata. Ti ho risposto con un cenno del capo, aggiungendo poi un "grazie" sincero. E con un sorriso meraviglioso hai accompagnato quel movimento della tua mano verso il cuore, per prenderlo e servirlo a me come su di un vassoio immaginario. Non so se ho mai visto più grazia ed umiltà in un singolo secondo, ma di certo quei due guanti bianchi hanno trovato la loro essenza ad un incrocio, indirizzando vite verso il loro destino e voltando pagina alle loro storie verso il prossimo capitolo. -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-. English after this line -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-. ENG From a true story. Even better: from my morning walks The road and redevelopment works always make me suffer, especially if they involve cutting of trees, the destruction of long-lived beauties or the unjustified eradication of pearls of tranquillity. But this is the world: change is the only constant. Suffering (especially in the early days) was however followed by the unexpected joy that caught me in my drowsy walks towards the office, as a real gift unfolded to enrich my mornings. He wears two white gloves, a high visibility vest (with even the company name) and a worn black hat. He directs traffic, and he's on shift from early morning to lunchtime. Those few square meters at that intersection are his office in these days, in a routine that led him to tan his face and excite mine. "What will ever be so exciting about it?" - someone would ask. Let me digress. A few months ago I heard about the painting "The milkmaid" by Vermeer. In that context it was used as an example of a moment of awareness, of one of those rare moments in which we are absorbed but present in the apparently useless (but in reality deeply incarnated) gestures of our experience. As David le Breton wrote: "walking is useless, like all essential activities. [...] It does not lead to anything except to oneself [...] ". I obviously looked for the painting, which depicts a robust woman pouring milk: nothing more. But it is the total immersion in the gesture and the silent atmosphere that embraces her that get to the eyes (and to the soul) of the observer (see above for the picture). There are obviously thousands of other possible examples, according to the various personal interpretations. I like the idea of proposing this photo, showing Niki Lauda and Ronnie Peterson, two guys very much used to drive fast but here caught in an instant of what seems slow and pure lightheartedness (see above for the picture). Returning to the milkmaid, I would have never thought to remember that painting looking at a man who directs traffic. Not only have I never seen anybody directing road traffic like he does, but I also rarely observed so much care and joy in performing a job, so much desire to guide and serve, carrying out the essential with the greatest grace. You surprised me, and I get emotional every morning, even when there is no traffic to direct and you walk back and forth on the sidewalk with a presence similar to the one sought in a vipassana meditation retreat. Those slow and precise gestures, enriched with white gloves, make you a mime in disguise. A conductor disguised as a worker, a spiritual guide disguised as a servant, a human being pervaded by humanity, with enormous respect for every profession I have listed and that you might get in your hands. Speaking of mimes, I now remember I met one on a flight. Talking to that professional actor made me understand not only how fundamental body language is, but also how silence can be vehicle for majestic concepts, communicating them even in a more genuine and crystalline way than words. Yesterday morning I diligently stopped at the edge of the footpath, waiting for your gesture approving my crossing. I replied with a nod, then adding a sincere "thank you". And, with a wonderful smile, you accompanied a movement of your hand towards your heart, to then take it and serve it to me as if it was on an imaginary tray. I don't know if I've ever seen more grace and humility in a single second, but certainly those two white gloves found their essence at an intersection, directing lives towards their destiny and turning the page of their stories to the next chapter. *Nota per il copyright: L'opera d'arte nella foto sopra è nel pubblico dominio (anche in tutti i Paesi e nelle aree in cui la durata del copyright è la vita dell'autore più 100 anni o meno)
** Origine: Internet (ita only) liberamente ispirata da alcuni fiori a Sepang (Malesia), ma adatto a descrivere molti luoghi del mondo contemporaneo. - se un fiore avesse voce Una stiracchiata ai petali, e anche questa giornata può iniziare. Dev'essere uno di quei cinque giorni che terminano in "-dì", in cui tutto sembra essere frenetico (senza motivo) nel vostro ritmo quotidiano. Vi guardo spesso, nelle vostre corse per arrivare in orario, spesso con bagagli al seguito verso chissà dove. Qualcuno di voi di rado si avvicina e mi guarda, mi ammira con un accenno di sorriso appeso tra malinconia e stupore. Qualcuno persino mi sfiora col naso, per scoprire il mio lato piu intimo e nascosto. Lo fate spesso con discrezione e solenne rispetto, lo stesso atteggiamento con cui i veri gentiluomini osservano la scollatura sensuale di una donna. Ci sono due modi in cui mi piace vedervi chiudere gli occhi: l'uno è assonnato, l'altro è consapevole. Ci sono due modi in cui mi piace vedere che li aprite: l'uno è assonnato, l'altro è colto da meraviglia. Siete sempre in movimento e anche quando siete fermi, siete sovente da un'altra parte. Quando vi sedete a quel tavolino d'estate, ingurgitate cibo quasi senza rendervi conto di cosa ci sia nel piatto. Siete goffi e un po' patetici a tratti, scusate la schiettezza, come quando andate a sbattere camminando perchè troppo immersi nello schermo luminoso che tenete in mano. Eppure... siete fiori tanto quanto me, ma solo alcuni di voi provano a sbocciare: vi vedo, sapete? C'è chi gratta della sporcizia con l'unghia con l'eleganza di un passo di danza, chi presta attenzione al rumore croccante della neve sotto i piedi, e chi, dopo lo schiaffo ricevuto dalla ragazza, rimane fermo qualche secondo per lasciar scorrere ogni impulso aggressivo: sa che non vale la pena reagire. Sono questi piccoli gesti a contare nella vita: non certo la carriera, una bella casa, essere stati nel Grand Canyon. Nella mia breve vita, trovo gioia e agio nella concentrazione che la precisione richiede, nella lentezza della semplicità: l'ovvio non è banale ma essenziale! Finchè arriva quel giorno, dove cado (o volo?), la bellezza sembra finire. Ma così è la vita, anche la vostra. Arriva il momento in cui dovrete abbandonare tutto, e se avrete usato la vostra vita per allenarvi, non sarà per nulla doloroso, anzi. Ci si scompone, tornando all'origine che forse non abbiamo mai lasciato, come un accordo che torna arpeggio, pur essendolo sempre stato. Non so quanto resterò su questo freddo e umido suolo, ma spero abbastanza per strappare ancora qualche sorriso e qualche frugale manifestazione di meraviglia. Perchè se c'é una cosa che ho capito, é che in ogni gesto dimora un'occasione di purezza autentica, e ogni momento diviene un tempio per celebrarla. Dosso Pasò (2575m) tra Aprica e Val Belviso - disegno del 2 gennaio 2019 ITA only
Dedicato a Luca, compagno di escursioni in montagna e di vita, perchè a lui ho pensato un paio di settimane fa, mentre scrivevo questa poesia, dopo aver provato a disegnare quelle cime a me care sin dalla primissima infanzia. Con la speranza di ricalcare insieme, coi nostri occhi e i nostri passi, tante cime ancora, sulle Alpi e chissà dove altro. - Ritratto Montano Su e poi giu. Una traccia qui, una sfumatura più in basso. Il panorama si tuffa nei miei occhi attraversa il petto, e infine muove la mia mano... La mia mano! Burattina inconsapevole del mio animo travestito da artista! Accarezzo con lo sguardo quella silhouette di vette e crinali cosi fiera, ferma... ma in eterna evoluzione. Le nuvole corrono, rotolano, giocano Sfuggono alla staticità del mio scarabocchio Che non riesce certo a intrappolarle in quei goffi ed incerti tratti di grafite. Non é certo un talento quel che trova forma su questa carta e in questo momento ma soltanto la trascrizione spontanea dei miei sospiri leggeri esalazioni di gratitudine verso queste cime. - A.Mansi ITA then ENG, after the pictures - Nel mio girovagare tra libri e registrazioni su temi a me cari, mi sono imbattuto in una potente domanda seguita da un'affascinante ed articolata risposta. La domanda coinvolge un tormento che forse molti condivideranno, ovvero come conciliare la non verbalità di alcune esperienze (come la meditazione o la contemplazione) con il "mezzo" con cui questo tipo di strumenti ed insegnamenti arrivano a noi, ovvero le parole. La riposta é stata formulata, in un seminario, da una persona da un lato completamente immersa in questi temi e dall'altro molto attiva nel tradurre testi antichi e quindi nella scelta delle parole più adeguate per trasmettere concetti antichi da risvegliare oggi. Ho voluto mettere tutto per iscritto, perché dall'apparente complessità dell'argomento, esce un pensiero meravigliosamente semplice molto in linea con la mia idea di vita. -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.- Domanda <<Come trovi un equilibrio nella tua ricerca, tra l'uso di linguistica e costrutti mentali e la conoscenza non-verbale della pratica?>> Risposta <<La risposta più onesta è che si tratta di uno sforzo ancora in corso. Tuttavia, non vedo questi due temi come disparati o appartenenti a sfere diverse. Una delle cose che mi ha sempre turbato dell'ambiente accademico occidentale, é l'idea dell'oggettività, l'idea che tu -lo studente- debba tenere una debita distanza dal soggetto che stai studiando, senza infettarlo coi tuoi pregiudizi, predilezioni, desideri o convinzioni, così da vederlo chiaramente e oggettivamente per quello che realmente è. E questa è una delle ragioni per cui non ho mai cercato di ottenere una laurea universitaria in alcunché, perché non mi piace quel tipo di ambiente, non voglio separarmi in quel modo, non voglio quella distanza esistenziale. Per me il coinvolgimento con quei testi, e parlo soprattutto dei vecchi testi Pali e anche di qualche testo Chàn in cinese, risiede nel voler entrare in un dialogo vivente con loro, voglio percepire che questi testi stanno realmente affrontando la mia condizione, mi parlano, mi mettono alla prova e mettono in gioco me stesso in modo da cambiare il modo in cui penso di vivere. E se provo a mettere in pratica queste strategie, quando torno a quei testi, mi appaiono cambiati. Per me la bellezza di queste cose molto semplici, come queste Quattro Nobili Verità, è che puoi tornare da loro e scoprire strati sempre più profondi di intuizione, perché sono una parte integrante della tua pratica. Se non avessi cercato di trasformare te stesso rifacendoti a quel che questi testi dicono, allora sì, probabilmente diverrebbero più o meno statici, sarebbero puri oggetti di interesse filologico, ma non ho intenzione di entrare in questo tipo di relazione con loro. Il mio approccio è, senza vergogna, soggettivo, sono interessato a come questi testi possano affrontare e cambiare una vita umana e quindi trovo che la mia pratica, diciamo quando sono in un ritiro di meditazione e provo a coltivare la concentrazione e la consapevolezza eccetera, sia la parte integrante di un dialogo in corso o di una conversazione con una tradizione che arriva a me con la mediazione di parole e testi. Sono ovviamente quel che si direbbe un "tipo intellettuale", non voglio farvi credere altrimenti, e sono spesso contrariato quando gruppi buddisti mostrano a priori un approccio anti-intellettuale ("non ho interesse per la teoria, voglio solo concentrarmi sulla pratica"). Uno degli episodi che mi ha reso chiaro questo aspetto, viene da molti anni fa, quando ancora studiavo in Svizzera in un monastero tibetano. Un vecchio Lama Mongolo stava insegnando un argomento molto asciutto, la logica buddista - posso garantire che si tratta di roba davvero noiosa, ovvero "come funziona il sillogismo" - e alla fine del corso un ragazzo disse: "Maestro, perché dobbiamo studiare tutta questa teoria? Perché non possiamo fare più pratica?" e la sua risposta fu "se davvero sapessi come studiare, allora staresti già praticando" e questo è quello che è rimasto in me, come un faro verso una visione più chiara. Per me lo studio è pratica. La pratica non è riducibile a qualcosa di puramente non verbale o non intellettuale. Se pensi alla parola pratica ("bhavana" é la parola Pali che meglio descriverebbe questo concetto), tutto l'Ottuplice sentiero dev'essere praticato, coltivato, dato alla luce, realizzato. Non si tratta di ridurre la pratica ad una cosa e contrapporre le altre parti della nostra esistenza ad essa. Al contrario, si tratta di estendere il concetto di pratica, per infondere e abbracciare tutti gli aspetti della nostra vita così che tutta la nostra vita diventi una pratica. E così diventiamo umani praticanti. Essere umani diventa la nostra pratica>> Pittura e meditazione - Nepal - 2018 Painting and meditation - Nepal - 2018 -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.- ENG In my wandering through books and recordings on what I consider to be special subjects, I came across a powerful question followed by a fascinating and well-structured answer. The question deals with a struggle that many people might share, namely how do we "conciliate" the non-verbal nature of some experiences (such as meditation and contemplation) with the medium through which tools and teachings on these topics get to us, i.e. words. The answer comes from a seminar, and it comes from a person who is very much involved in these subjects and even in the thorough translation of ancient related texts, to find the most suitable words to express old thoughts to be awakened today. I wanted to write all this down, as from the apparent complexity a wonderfully simple thought rises putting in words my own idea of life. -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.- Question
<<How do you balance your work using linguistic and mental constructs with the non-verbal knowing of your practice>> Answer <<The honest answer is that this an ongoing struggle. But I don't see the two as somehow operating in disparate or different spheres. One of the things that has always troubled me about the western academy, is this idea of "objectivity, that you - the scholar - are supposed to keep a nice distance from your subject matter and not infect it with your own prejudices or biases or longings or beliefs and to see it clearly and objectively as it really is. And that's one of the reasons I've never done a University degree in anything because I just don't like that environment, I don't want to separate myself in that way, I don't want that existential distance. To me the engagement with these texts and I'm mainly talking of early Pali and also some Chán texts in Chinese, is that I want to enter into a living dialogue with these texts I want to gain a sense that these texts are actually addressing my condition and they are speaking to me, they are actually challenging me in some way that they're challenging me to change the way I think I live, and if I try to put those injunctions into practice when I return to the texts they've changed. To me the beauty of these very simple things, these Four Noble Truths for example, is that you can keep going back to them and you can keep recovering deeper layers of insight because they are an integral part of your practice. If you didn't seek to transform yourself in terms of what these texts are saying, then they would probably remain more or less static, they would just be objects of philological interest, but I'm not willing to relate to them in that way, my approach is unashamedly subjective, I'm interested in how these texts can address and change a human life and so I find that my practice, let's say when I'm on a meditation retreat, when I try to cultivate the concentration or mindfulness and so on, that is an integral part of an ongoing dialogue or conversation with a tradition that is mediated to me through text. I'm obviously an "intellectual kind of guy", I don't want to pretend otherwise, and I feel often quite disappointed when Buddhist groups kind of have a default anti-intellectual stance, where people would say "I'm not interested in theory, I just want to do the practice". One of the things that brought that home to me many years ago is when I was studying in Switzerland in a Tibetan Monastery and we were being taught by an old Mongolian Lama and we were studying something which was incredibly dry, the Buddhist logic - I can tell you that was pretty dreary stuff, syllogism and how syllogism functions - and at the end of the course one of the students said "Geshe-la, why do we have to study all this Theory, why can't we do more practice?" and his answer was "If you really knew how to study you would be practicing" and that's remained with me as a real beacon of insight. To me study is practice. Practice is not reducible to something purely non-verbal or non intellectual. If you think about the word practice ("bhavana" would be the closest word in Pali), the whole of the Eightfold path is to be put into practice, cultivated, brought into being, realised. It is not a question of narrowing practice to one thing and then setting other parts of your life in opposition to it. It's a question of how can we extend the concept to practice, to infuse and embrace all aspects of our life so that our whole life becomes a practice. We've become practicing humans. Being Human becomes our practice.>> |
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