Riflessioni sulla vita, grazie a scorci su valli, montagne e volte celesti. - Bisognerebbe vivere come la polvere, con la sua velocità e la sua pazienza. Bisognerebbe adagiarsi con ineccepibile ed equanime uniformità su ogni superficie, su ogni istante, con quella vigile arrendevolezza in cui le foglie sono tanto maestre. Osservo il Monte Torena, avvolto tra le nubi, i suo abbondanti 2900 metri spariscono dall'orizzonte, inghiottiti da un soffice (ma a tratti vorace) biancore. Come deve essere lassù, per quella cima? E per me? Immagino la vetta come fosse una creatura umana, isolata, nella sua temparanea cecità, avvolta da una nebbia che prima porta smarrimento, e poi lascia lentamente spazio a un'introspezione più sottile. Fa freddo e mi sento solo - immagino - tutto è bianco e non ho un riferimento, se non me stesso. Una frazione di secondo, e la carezza fugace del vento umido sulle guance riporta alla silenziosa calma che c'è sotto le lenzuola prima di dormire, e al profumo di casa. Penso che il silenzio non sia mancanza di suoni o un'assenza di parole. É piuttosto quello spazio che si concede alla presenza più cristallina, un portale verso le profondità più minuziosamente decorate dell'esperienza, verso l'affresco della vita, come ho sentito dire. Getto il mio sguardo più in basso, verso le valli che si intersecano e si coricano l'una sull'altra. Appaiono come le soffici rughe dei millenni, antiche ma rigogliose, e mi ricordano di un nonno su un dondolo a raccontare storie, di una nonna che invita a meno schiamazzi, alla tranquillità. Alzo poi gli occhi alla volta celeste, mi pare spontaneo farlo, e la fitta nel collo mi ricorda quanto sia corporea e incarnata questa vita. Mi chiedo se la via lattea, con la sua eclatante e vasta pennellata biancastra, non sia altro che un diversivo, a distogliere l'attenzione dalla guancia arrossata di un cielo immenso che non sa come celare la sua nudità. Mi commuovo e per un istante provo compassione per le stelle. D'un tratto, tutto mi appare a portata di mano. Le distanze cadono, perdono sostanza e forma, come lenzuola rapite dal vento e che qualche molletta non ha saputo trattenere. L'universo si fa quartiere, non lo percepisco più come inafferrabile, piuttosto come un area troppo grande da essere coperta nelle mie mappe dei sentieri. Questo sì. Camminare qui, dove sono ora, è già camminare nell'universo. Nel piccolo spazio di terreno che occupo, ci sono solo io ma anche tutto quanto, in un punto di singolarità che fonde zero ed infinito, il miracolo e il mistero. La paura e l'euforia. Bisognerebbe vivere come la polvere: ignari della propria origine, entusiasti del proprio percorso, ospiti del proprio avvenire. Stupefatti, per il semplice fatto di esserci. "Benchè i piedi dell’uomo non occupino che un piccolo spazio sulla terra,
è grazie a tutto lo spazio che non occupano che l’uomo può camminare sulla terra immensa" (Zhuangzi)
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January 2023
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