(ITA only) Un periodo raro, molto raro. Se da un lato poco si saprà mai sulle cause, molto abbiamo sperimentato sulle conseguenze. Ho visto persone reagire nei modi più diversi e ho cercato (faticando) di lasciare le mie opinioni da parte: "ognuno é fatto a suo modo", mi sono ripetuto più volte. Nonostante questo, mi sono concesso di osservare il vasto spettro di atteggiamenti che questa grande ondata di incognite sta generando. Un vasto spettro ma diviso in due macro-mondi, un popolo tagliato in due da un grande scisma. Chi vive il periodo come una preziosa opportunità che ancora non ha sfruttato appieno e chi come una minaccia da debellare al più presto. Chi lo sfrutta per mettere in campo reazioni e comportamenti nuovi, e chi si é fatto cogliere impreparato, facendo acutizzare le vecchie e già note strategie che non funzionavano prima, figuriamoci ora. Chi ha paura, e chi non ne ha per nulla. Qualcuno troverà il modo di sopravvivere e reagire, altri di vivere e rispondere. I primi continueranno a concentrarsi sulla cornice del quadro, ossessionati dal contesto che li circonda, i secondi riporteranno la concentrazione sul dipinto, sulla loro esistenza e su come essa si può riconfigurare e adattare di fronte alle sfide del mondo. Una comunità di essere umani deve promuovere il rispetto delle diversità e un confronto etico di idee, anche in un contesto dove la paura e le opinioni corrono a briglia sciolta, senza controllo. In questa ottica ho voluto raccogliere 4 testi molto diversi, su 4 argomenti molto diversi, da 4 fonti molto diverse, che trovano un campo di applicazione molto valido tanto in questo periodo speciale, quanto nella vita in generale. Spero che diventino fonte anche della più minuscola briciola di ispirazione... ...in questo periodo raro, molto raro. Come la vita, del resto. Il mistero della bellezza, la verità e la realtà, sono la stessa cosa. Sono elementi che abbiamo rappresentato con forme d'arte sin dall'inizio ma rimangono elusivi. Pensiamo a loro come all'ignoto. Dobbiamo guardare le nostre menti, perchè lì è dove possiamo osservare la nostra crescente consapevolezza della realtà. Quando capiamo che è la realtà che vogliamo, allora i nostri piedi si ritrovano sul sentiero. (dagli appunti di Agnes Martin) - “È facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine*, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta dolcezza l'indipendenza della solitudine* ” - (Ralph Emerson - Essays (1841)) (* solitudine intesa come "lo spazio di armonia con se stessi", e non necessariamente come "mancanza di contatto con altri", ndr) Perché ci sentiamo tanto feriti nel momento in cui capiamo di non essere così importanti? Non sarebbe meglio considerarlo un avvenimento fondamentale, un'illuminazione? Ciò che chiamiamo "credere", in fondo, è un'azione che inizia dentro di noi e bisogna credere nella separazione tanto quanto crediamo nella bellezza e nell'amore, ed essere anche preparati, perché al termine di ogni cosa bella c'è sempre una separazione. E se così, allora perché non interpretare queste disgrazie come catastrofi costruttive, che ci permettono di affrontare ciò che non conosciamo? Non trovi? (Dal film: "L'albero dei frutti selvatici") - Domanda di un fan
Ci sono situazioni in cui dare valore a un'opinione altrui, può essere considerata una cosa utile e sana? Risposta di Steve Vai Sì! Ce ne sono molte! Ma solo tu puoi scegliere se l'opinione che stai ricevendo é autentica e se risuona con te, se dentro quell'opinione c'é qualcosa che ti fa dire "mh, c'è un punto interessante in quel che dice". E lo facciamo sempre. Se guardiamo bene, tutto quello che dico io stesso può essere considerato un'opinione, e potreste trovare informazioni utili in alcune di queste, e questo é un approccio sano. L'approccio non-sano arriva quando prendi qualcosa a livello personale, per opinioni di altri su abbiagliamento, religione, musica etc. L'opinione degli altri può avere spigoli molto appuntiti. Questi spigoli nelle opinioni altrui, sono la testimonianza della loro paura. Non c'é nulla di male nell'avere un'opinione, ma é pericoloso "adorare" le proprie idee, credere che siano quelle corrette, non solo per te, ma per tutti. Si tratta di una mancanza di fiducia in se stessi. Se una persona avesse fiducia nelle proprie opinioni, non ci sarebbe bisogno di convincere gli altri su nulla. Quando hai fiducia in quel che ti piace, o non ti piace, permetti agli altri di avere una loro idea, senza che ti influenzi quale essa sia, a meno che il tuo "ego" non la prenda a livello personale. Persino idee benigne, che possono essere molto utili, vengono prese sul personale, a volte. Lo dico perché sono io il primo a notare quando lo faccio. E l'unico modo per capirlo e per conoscere gli altri, é conoscere se stessi, levando il microscopio dal mondo e rivolgerlo verso di sè. Quando ti ritrovi ad avere a che fare con un'opinione altrui, da un semplice "mi piace il rosso" al risoluto "il mondo fa schifo e tutti sono degli idioti". C'è stato un momento della mia vita in cui avevo a che fare con persone che promuovevano queste idee, che alla fine sono diventate anche le mie, portando intensa sofferenza. Quando un'opinione altrui arriverà a te, saprai se é possibile trovare un piccolo spazio di presenza mentale, e quindi valutare serenamente se é un commento sano da cui posso trarre qualcosa di buono oppure se é l'insicurezza che l'altro sta gettando su di te. Ma solo tu lo saprai." - (Steve Vai, dalla diretta Facebook "Under it all" del 7 maggio 2020)
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(ITA only) - In tanti dicono quello che dovrei fare, in pochi sanno spiegarmi perchè. Le tradizioni in cui sono immerso sono colonne portanti della società in cui sono nato, difficili da scostare, o troppo fitte per lasciarmi vedere al di là. Tutti sono indaffarati a promuovere le loro idee o ingoiano passivamente quelle degli altri senza protestare. Cristiani, atei, musulmani eccetera: ognuno, a suo modo, è un po' fanatico difensore di principi che spesso chiudono i loro stessi orizzonti, invece di aprirli. Questo, del resto, chiedono i dogmi: una cieca fede nel mistero. Questo, del resto, chiede l'ostinata negazione dei dogmi: un testardo e continuo voltar le spalle a ciò che non può essere spiegato razionalmente. In fin dei conti, penso, credenti convinti ed atei convinti condividono lo stesso identico atteggiamento verso le proprie idee ed opinioni: una difesa a spada tratta poco disponibile alla rivisitazione. E non parlo, qui, dell'accettazione degli altri e delle loro idee, ma di quanto uno sia disposto a ridiscutere quel che ha sempre dato per scontato (o in cui ha sempre creduto) in prima persona. "Mettere in discussione" è un processo faticoso, che male si sposa con la pigrizia di questi tempi moderni. Per molti, poi, rappresenta una sconfitta di cui non vogliono nemmeno sentire parlare: come giustificare un cambio radicale di approccio, dopo 30, 40, 50 anni investiti in tutt'altra direzione? Meglio rimanere saldi a principi sicuri e coerenti, anche se non risuonano con me. Nel mio piccolo, ho potuto osservare un disperato bisogno di ortodossia in diverse tappe del mio percorso: dal cristianesimo che mi ha cresciuto, alla scuola, dal volontariato allo sport, dallo yoga al buddismo di derivazione religiosa (precisazione che ho messo non a caso). Ho visto fanatici in tutte le tappe della mia vita. Ho sentito un sacco di "devi", una moltitudine di "risultati ideali a cui tendere", una serie di "tappe ben definite da seguire", pena il finire fuori sentiero. Non voglio nè classificare tutti come fanatici nè voglio denigrare i tanti lati positivi degli insegnamenti, delle tradizioni e del lavoro di altri che, nei millenni, è arrivato fino ad oggi. Ma ormai il mio naso mi richiama all'attenzione spesso: è disgustosa la puzza di "verità assoluta" impacchettata in codici di comportamento o dogmi in cui credere. Bisogna starci attenti, tutto qui. Ho avuto la fortuna di incontrare tante persone che mi hanno invitato ad un cambio di prospettiva su tanti fronti, cosa non facile considerando che la mia struttura di pensiero e di ragionamento è ancora molto influenzata dalla formazione scientifico-ingegneristica che ho ricevuto. Ma anche un bambino che viene forzato ad assaggiare il gambo del broccolo, può finire col trovarlo squisito (frase quanto mai vera sia per me che per la mia nipotina). Ho capito che l'ortodossia e le sedicenti verità danno sicurezza e stabilità per affrontare quel che non può essere compreso con l'intelletto, ma levano tutto il sapore, il gusto e la meraviglia dell'inspiegabile. Se qualcuno dovesse chiedere, guardando un fiume, di indicare passato e futuro, in molti punterebbero il dito verso il passato a monte, e poi verso il futuro a valle: non può che essere così, da su a giù, questa è la direzione ovvia. O forse quella che pare più accreditata e sicura. Anche su questo, un prezioso libro mi ha svelato uno di questi piccoli (grandi!) cambi di prospettiva: "Cominciai a capire un fatto, e cioè che tutte le cose, per un pesce di fiume, vengono da monte: insetti, rami, foglie, qualsiasi cosa. Per questo guarda verso l’alto, in attesa di ciò che deve arrivare. Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte" (Le otto Montagne - P. Cognetti) Difficile tradurre in parole la dolcezza che queste minuscole scoperte portano. Si tratta davvero di qualcosa di simile al primo assaggio di un frutto che fino a quel momento ti era stato celato. Un po' come andare oltre i libri esposti in vetrina e trovare l'accesso al polveroso magazzino, dove le vere gemme rimangono protette da chi oserebbe scartarle. I veri maestri non ti dicono di non fare questo o quello, ma donano piuttosto strumenti per estrarre il meglio e valutare cosa è utile. Non si vantano della propria conoscenza nè credono di avere tutte le risposte, ma piuttosto insegnano a dare valore alle domande, per aiutare a rispondere (se proprio necessario) a proprio modo. Ma quindi, se davvero posso usare un ruscello come metafora dello scorrere dei miei giorni, allora il modo più adeguato per viverlo è entrarci, con i piedi immersi, a mollo. Sul palcoscenico dell'esistenza. Splash! Sento da valle i ricordi che tornano a me come salmoni che risalgono la corrente. Da monte non so cosa aspettarmi: la dissetante prospettiva di nuovi progetti o l'angoscia delle preoccupazioni? Per quel che ne so, quelle vacche lassù possono anche aver urinato nel ruscello. Non mi importa troppo. Il mio futuro è contaminato da costellazioni di insidie verso cui è utile orientare solo una certa porzione delle mie risorse. Se le dedicassi tutte, perderei gran parte di quel che va in scena ora. Siamo esposti a tante distrazioni, alcune involontarie altre molto strumentali ai fini di altri. Il fatto che tutta quanta la tecnologia e il commercio puntino alla connettività globale, mentre tutti gli strumenti di sviluppo della consapevolezza si dirigono in primo luogo verso il nostro interno, dovrebbe farci pensare. Ma è proprio questo "pensare" che richiede innanzitutto di mollare la presa sulle convinzioni che appaiono solide e certe. Tante volte i vicini a cui non parliamo sono portatori di verità molto più di quanto lo siano i telegiornali. Poveri noi: a momenti ci fidiamo più delle previsioni del meteo, che del tempo che c'è realmente. "Mettere in discussione" non significa "essere indifferenti", ma piuttosto aprire le nostre percezioni verso quella curiosità tipica dei bambini, verso il loro "voler guardare dentro le cose", imitando, scoprendo, toccando la vita con mano. Sarò sempre grato alle crisi che ho vissuto e ai maestri che mi hanno accompagnato da una tappa all'altra, soprattutto quelli che mi hanno dato compiti e strumenti, invece che regole da imparare e verità da digerire. Per sentire la vita che scorre, bisogna entrarci dentro, non c'è altro modo, piedi a mollo. Qualche giocoso mulinello, arriva alle mie caviglie dopo soffici acrobazie che guidano i miei occhi come burattini. Con sollievo, riscopro che il solletico è un modo molto immediato per tornare nell'unico momento in cui vivo, quello in cui sto respirando. Sento le caviglie, euforiche, scompisciarsi dalle risate. -.-.-.-.-.-.-.- "Son seduto sul molo nella baia Guardando le onde che rotolano via Son semplicemente seduto sul molo nella baia sprecando il mio tempo" ITA only (ENG: this post is a direct translation to italian of the beautiful article at this link, allowed by Martine Batchelor - merci Martine!). - Quella che segue é una traduzione pressoché letterale (e autorizzata dall'autrice Martine Batchelor) del meraviglioso articolo pubblicato a questo link. Le "dieci icone del bue" descrivono il percorso di addestramento Zen all'illuminazione, con immagini popolari accompagnate da poesie e commenti. Descrivono un giovane mandriano la cui ricerca lo porta a domare, addestrare e trasformare il suo cuore e la sua mente, un processo che è rappresentato dalla sottomissione del bue. Anche se queste immagini sono presentate in una sequenza, Martine Batchelor ci mette in guardia dal pensare che lo sviluppo personale e la pratica Zen vadano in linea retta; il percorso é più simile ad una spirale lungo la quale ritorniamo alle diverse tappe ma con più comprensione. Queste 10 illustrazioni (in diverse forme ed interpretazioni, ndr) adornano le pareti dei templi Zen in Cina, Corea e Giappone. Il seguente commento di Batchelor è tratto e adattato dal suo libro "Principles of Zen" (Thorsons / HarperCollins). I brevi testi prima di ogni illustrazione sono versi poetici di Master Kusan, stampati per la prima volta nel suo libro "The Way of Korean Zen". Il maestro Kusan fu l'abate del monastero di Songgwangsa vicino alla città di Kwangju, in Corea. Le illustrazioni sono di Jihihara Sensei, dalla collezione del 1982 esposta nel monastero Zen Mountain Monastery. 1. Alla ricerca del bue Alte montagne, acque profonde e una fitta giungla d'erba Per quanto ci provi, il modo di procedere rimane poco chiaro! Per alleviare questo senso di frustrazione, ascolta il frinito delle cicale. In questa foto, il giovane mandriano sembra un po' perso. Sta cercando qualcosa, ma non è nemmeno sicuro cosa. Rappresenta lo stadio in cui non abbiamo ancora iniziato il cammino spirituale, ma ci sentiamo in qualche modo a disagio ed insoddisfatti. Ci sono deboli trambusti dentro di noi. Pensiamo che se avessimo abbastanza "cose" materiali, allora saremmo felici. Vorremmo avere una casa con un bel giardino o abbastanza soldi per comprare qualunque cosa ci piaccia. Ma nulla sembra soddisfarci completamente, per portarci quell'elusiva felicità duratura. Forse speravamo che una relazione stabile potesse darci quella felicità, ma è molto difficile trovare la persona giusta o essere la persona giusta, pienamente amorevole e tollerante. Anche se troviamo qualcuno, scopriamo che una persona non può soddisfare tutti i nostri bisogni, desideri e speranze. Una degna occupazione o un lavoro ben pagato possono darci sicurezza, ma ancora una volta questi coprono solo parzialmente la nostra vita. Insomma, tutto questo ci dà solo una felicità effimera. Sembra che manchi qualcosa. Siamo come il mandriano nella foto. C'è un ruscello rinfrescante, splendidi alberi, farfalle colorate e un meraviglioso canto degli uccelli, ma non è ancora soddisfatto. Come noi, cerca con ansia qualcosa: pace interiore, appagamento, chiarezza. 2. Vedere le impronte Un groviglio di cespugli spinosi: il debole mormorio dell'acqua corrente. Ma qua e là ci sono impronte: è questa la strada giusta? Se vuoi perforargli il naso e legarlo, non fare affidamento sulla forza di qualcun altro! In questa immagine, il mandriano vede finalmente alcune impronte. Rappresenta il momento in cui decidiamo di fare qualcosa per risolvere la nostra insoddisfazione. Cerchiamo qualcosa attorno a noi. Discutiamo di filosofia, leggiamo di psicologia e di vari stati di coscienza. Sentiamo parlare di meditazione e buddismo o Zen. Potremmo avere un amico che sta praticando o potremmo ascoltare un discorso di un insegnante di Zen. Ci piace l'idea di liberazione e risveglio o la stravaganza di un koan. Siamo attratti dalle storie Zen ma qui ci fermiamo. Abbiamo solo letto qualcosa a riguardo e quindi, i cambiamenti sono molto piccoli; continuiamo a patire le stesse sofferenze e gli stessi disturbi e mettiamo in pratica gli stessi schemi negativi. Leggere o ascoltare di Zen non farà una grande differenza nelle nostre vite. L'altra domanda che questa immagine solleva è: le impronte sono vecchie o nuove? Questo insegnamento e questa meditazione Zen sono rilevanti per noi, adesso, o lo sono solo per gli antichi maestri Zen in Cina? 3. Vedere il bue Tra i rami di salice che ondeggiano nella brezza primaverile canta un rigogolo. Come può il passero sperimentare la sua gioia mentre chiama la sua compagna? Non vi sono forse barlumi di luce lunare nella foresta, mia dimora? Qui, il mandriano ha finalmente visto il bue mezzo nascosto tra gli alberi. Questa immagine rappresenta lo stadio in cui finalmente decidiamo di fare davvero qualcosa. Non siamo ancora del tutto sicuri di quale sia il metodo migliore e di cosa esattamente dobbiamo fare. Quindi proviamo diversi approcci. Una settimana visitiamo un tempio, un'altra settimana parliamo con un insegnante. Continuiamo a leggere libri per trovare un buon modo per praticare. Potremmo anche provare la meditazione e non appena ci sediamo per un po' sperimentiamo un po' di pace. Ci rendiamo conto che si tratta di un'attività che possiamo fare da soli e che ci fa stare bene. Potremmo anche provare a coltivare dei precetti ed essere così più innocui, generosi, disciplinati, onesti e chiari. Cominciamo a capirne il senso; acquisiamo familiarità con le idee non solo a livello intellettuale ma anche a livello esperienziale. Pensiamo di aver trovato qualcosa e ne siamo molto entusiasti. 4. Catturare il bue Avanzando con difficoltà; il naso del bue è trafitto. Ma la sua impetuosa natura è difficile da domare. Trascinato qua e là, vaghi per foreste coperte di nuvole. Il mandriano ha finalmente catturato il bue con una corda. Ma il bue non ne vuole sapere di essere domato. Il mandriano si tiene forte mentre il bue salta ferocemente e lo trascina qua e là. Quando iniziamo a meditare, ci sentiamo come il mandriano in questa situazione. Ci viene data una serie di istruzioni e pensiamo che seguirle non sia poi troppo difficile. Catturare il bue non è stato difficile ma contenerlo richiede molta energia e forza. Allo stesso modo, sedersi seguendo un determinato metodo é di per sé facile, ma applicare le istruzioni per un certo lasso di tempo è quel che richiede grande determinazione e forza. Non appena ci sediamo, la mente è invasa da pensieri, ricordi e piani, e il nostro corpo non è a suo agio. Iniziamo ad avere dolore alla schiena, poi alle ginocchia, ed ecco che persino le nostre guance iniziano a prudere. Proviamo varie posture. Vogliamo dimenticare il passato o il futuro, ma tornano molto rapidamente a farci visita. Come il mandriano, dobbiamo rimanere saldi e tener duro. Ci sono molti ostacoli: irrequietezza, sonnolenza, sogni ad occhi aperti, ecc. Dobbiamo renderci conto che negli ultimi venti, trenta anni abbiamo coltivato molte abitudini che hanno favorito le distrazioni e quando meditiamo ci scontriamo con tutte queste abitudini. Ci vorrà del tempo prima di sciogliere la loro presa. 5. Tendere il bue Temendo che possa precipitare in qualche fosso o lungo qualche pendio, Lo tieni stretto aiutandoti con la frusta e la briglia e con la tenacia di entrambe le gambe ti aggrappi saldamente il terreno. Superato questo momento critico, il bue ti segue. In questa immagine, il mandriano controlla delicatamente il bue che non è più selvaggio. Camminano l'uno accanto all'altro e l'uomo tiene la corda molto allentata. Dopo aver tenuto duro e sostenuto la pratica per un po', diventa più facile. Siamo più a nostro agio con la postura. Riusciamo a sederci e a restare fermi senza sentirci irrequieti. Non combattiamo più con il nostro corpo e la nostra mente e manteniamo la concentrazione per un certo periodo di tempo. Abbiamo acquisito un po' di tranquillità e un po' di chiarezza che ci aiutano nella nostra vita quotidiana. Il mandriano tiene ancora la fune allentata perché sa che nonostante la lotta sia finita, rimanere vigili è fondamentale. Il bue sembra sottomesso ma potrebbe scattare in qualsiasi momento. Per praticare lo Zen dobbiamo essere fiduciosi ma anche consapevoli che non si deve diventare arroganti. Potremmo pensare di conoscere lo Zen a 360 gradi, ma in ogni caso abbiamo ancora bisogno di determinazione e disciplina per contrastare le potenti distrazioni. Questa immagine rappresenta una fase di maturazione e di crescita caratterizzata da cura e attenzione. 6. Cavalcare il bue verso casa Seduto a cavallo del bue, la nobile persona ritorna felicemente verso casa. I suoni del suo flauto si mescolano al cielo cremisi: ha scoperto il giardino della gioia. Chi altri potrebbe conoscere questo gusto infinitamente piacevole? La corda se n'è andata. Il mandriano siede tranquillamente sul bue suonando il flauto. Il bue sa dove andare senza che gli venga detto. Questa è un'immagine che trasmette agio, svago e libertà. Alcune persone credono che lo Zen sia molto severo e serio o che per essere spirituali si debba essere cupi, pessimisti o indifferenti. Al contrario, mentre avanziamo nella pratica, scopriamo che ha più a che vedere con gioia e creatività. Cominciamo a prenderci meno sul serio e ci godiamo la vita nell'aprirci alla sua natura mutevole e fluttuante. Balliamo e cantiamo con la vita. Si instaura un rapporto di amicizia con il nostro corpo e la nostra mente. Questa immagine ci mostra anche che c'è spazio per la creatività nello Zen. Quando accettiamo noi stessi e il mondo, il nostro potenziale si sviluppa, le paure e le insicurezze si dissolvono; e possiamo esprimerci attraverso la musica, la pittura, la poesia, la cucina, il giardinaggio, passando del tempo con bambini o con persone anziane. Tutto ciò che facciamo può diventare un'arte; non è più un dovere; è un modo per esprimere la nostra vera natura. 7. Dimenticando il bue, il mandriano si riposa da solo Luna splendente e vento freddo: che casa splendida! Seduto tutto solo, il bue se n'è andato via. Anche se sonnecchi fino all'alba, a che servono frusta e briglia? Il bue è scomparso e il mandriano riposa da solo a casa. Fino ad ora c'era l'impressione che ci fosse qualcosa da fare, qualcosa da praticare. Permaneva una separazione tra noi stessi e la pratica, un dualismo tra ciò che era spirituale e ciò che non lo era, ciò che era Zen e ciò che non era Zen. In questa fase, ci fondiamo con la pratica, che non è più qualcosa di speciale. Non ha più luogo solo quando ci sediamo su un cuscino o in una stanza particolare. Tutto diventa meditazione. La consapevolezza diventa naturale quanto lo è la respirazione. Siamo in pace con noi stessi, con la mente, il corpo e il cuore, con tutto il mondo. Non abbiamo nemmeno bisogno di richiamarci alla disciplina, perché ora la pratica e la coltivazione dei precetti perdono consistenza. Non dobbiamo "eseguirli": si "eseguono da soli". Come diceva il Maestro Kusan: “Sei tutt'uno con la domanda. È la domanda che cammina, va in bagno, guarda la campagna.” L'innocuità e la generosità giungono naturalmente. In questo stato, non puoi nemmeno pensare di essere scortese o dire bugie. Questo tipo di pensieri non sorge nemmeno. 8. Il mandriano e il bue sono entrambi dimenticati Poiché lo spazio è collassato, come possono rimanere degli ostacoli? Può forse un fiocco di neve sopravvivere in una fiamma ardente? Allegramente vai e vieni: come puoi non ridere sempre? Il bue e il mandriano sono entrambi svaniti. C'è solo un cerchio nero che rappresenta il vuoto. In precedenza, quando ci siamo uniti alla pratica, pensavamo ancora che ci fosse un "io" a praticare. Ora anche questo è andato. Ci rendiamo conto che nulla ci appartiene veramente; possiamo occuparcene solo finché dura. Sperimentiamo anche di non avere un'identità solida e separata. Siamo un flusso di condizioni. Siamo costituiti da tutti i nostri geni, dalla nostra storia, dai condizionamenti sociali, ecc. Chi siamo, se non un insieme di aggregati e fluttuazioni? Non possiamo identificarci con i nostri sentimenti, i nostri pensieri, i nostri beni. Vanno e vengono. Sorgono in determinate circostanze, rimangono un po' e poi scompaiono. Tutto è fatto di condizioni, in continua evoluzione. Non c'è nessun posto dove andare, niente a cui aggrapparsi. Ci siamo liberati di un enorme peso e ci sentiamo così leggeri. Ci rendiamo conto che tutto viene dalla vacuità. Solo grazie ad essa le cose possono cambiare e fluire. La vacuità non è un vuoto, un buco nero, ma la possibilità di infinite trasformazioni. Non c'è più avidità, nè barriere create da noi stessi e dai nostri limiti. La natura di Buddha può risplendere ed esprimersi pienamente. 9. Ritorno al luogo originale Il mio tesoro personale è riconquistato: tutti quegli sforzi spesi invano! Sarebbe stato meglio essere ciechi, sordi e sciocchi. Le montagne e l'acqua sono proprio come sono! E così è anche l'uccello tra i fiori. In questa immagine, l'acqua scorre, i fiori sbocciano e gli uccelli cantano. La pratica non si ferma alla vacuità. Se ci attacchiamo ad essa, potremmo giungere a separazione e isolamento. Dobbiamo andare oltre, rientrando nel mondo in cui "avendo dimenticato noi stessi, siamo stati illuminati da tutte le cose". Comprendiamo l'interdipendenza che è alla radice di tutta la vita. Mentre mangiamo e mastichiamo un pezzo di toast, ci connettiamo con il grano, i germogli verdi, la terra, il sole, la pioggia e apprezziamo gli sforzi di tutte le persone che hanno reso possibile quel pezzo di toast. Quando vediamo un filo d'erba che ondeggia nella brezza, oscilliamo con esso. La nostra vita è ordinaria e così com'è, ma la guardiamo in modo diverso. Ci rendiamo conto che tutto attorno esprime la verità della vita e della consapevolezza, e ci parla. Non siamo più rinchiusi in noi stessi ma completamente aperti al mondo. Non siamo spaventati ma al contrario euforici. Il mondo é noi e noi siamo il mondo. Tutta questa pratica, questo sforzo, per poi puramente renderci conto di ciò che era già sulla soglia di casa! 10. Al mercato, per dare una mano Vestito di stracci e scalzo, ti avvicini al mercato e alle strade. Persino coperto di polvere, perché dovrebbero cessare le tue risate? Le api e le farfalle sono felici perché i fiori sono sbocciati su un albero appassito. Questa foto mostra un uomo un po' pancione vestito di stracci che cammina a piedi nudi portando un sacco pieno di prelibatezze. Quest'ultima fase rappresenta la libertà, la saggezza e la compassione. Non siamo ostacolati dalle apparenze. Ci adattiamo liberamente ai luoghi elevati e a quelli più meschini. Troviamo spiritualità ovunque. La meditazione e la realizzazione non ci rendono passivi ma attivi. Siamo profondamente connessi col mondo; sentiamo la sua sofferenza e vogliamo rispondere e aiutare. Il nostro bagaglio è pieno di gioia, compassione, comprensione, gentilezza amorevole, saggezza e "mezzi abili". Diamo naturalmente a noi stessi e agli altri ciò che è benefico. Ascoltiamo profondamente, osserviamo in modo discreto e rispondiamo in modo appropriato. Quando diamo non ci aspettiamo nulla. Non siamo superiori agli altri quando li aiutiamo; al contrario, aiutarli è come aiutare noi stessi e siamo grati che ci diano questa opportunità. Quando amiamo, lo facciamo con accettazione totale. Non aiutiamo solo le persone che ci piacciono e con cui è facile stare insieme, ma anche quelle difficili o scontrose. Non imponiamo le nostre idee - le nostre opinioni, ciò che funziona per noi - sugli altri. Non prendiamo tutto così sul serio. Scopriamo ulteriori modi per sviluppare la concentrazione e la nostra ricerca. Il Maestro Kusan ha avuto tre diversi risvegli significativi e ogni volta ha continuato a praticare con ancora più determinazione. L'ultima volta, il suo insegnante, il Maestro Hyobong, gli disse: “Fino ad ora mi hai seguito; ora sono io che dovrei seguirti" ...Fine della traduzione... Nel 2012, quando iniziai a praticare yoga, una frase e una poesia su un libro di Ashtanga Yoga aveva già aperto la mia mente a questa "spirale" che ci riporta a dove già siamo, ma con occhi diversi. Sensazione che riscopro in prima persona ora, scrivendo, traducendo e facendo mio tutto questo. Prima dell'illuminazione tagliavo legna e trasportavo acqua. Dopo l'illuminazione tagliavo legna e trasportavo acqua. (Aforisma Zen) Non smetteremo di esplorare,
e alla fine della nostra esplorazione arriveremo donde siamo partiti e conosceremo quel luogo per la prima volta (T.S. Eliot) Ita only (foto scattate ad Allschwil, BL (Svizzera), nel settembre 2019...con un'eccezione...) - Un film visto un paio di giorni fa, o meglio il suo titolo, ha dato un senso a diverse foto scattate nel mese di settembre. Come una penna che unisce i puntini in quel famoso gioco della settimana enigmistica, quelle parole misteriose hanno dato un significato a questa mia perenne tendenza ad inclinare lo sguardo verso terra, alla ricerca di chissà che. "La cenere é il bianco più puro" recita la traduzione letterale del titolo del film, che peraltro non annovero tra quelli che più mi hanno lasciato a bocca aperta. L'espressione fa riferimento al fatto che la cenere espulsa da un vulcano, risultato di processi ad altissime temperature, é senz'altro priva di ogni impurità, tanto da meritarsi un eventuale premio (se mai ne esistesse uno) per il "bianco più puro", anche se proprio bianca, la cenere, non è. Se da un lato il film ha le sue ragioni e la sua trama per giustificare questo titolo, dall'altro la mia interpretazione più spontanea ha portato nel mio minuscolo microcosmo una conferma e una carezza allo stesso tempo. E anche un briciolo di conforto. Si tende spesso a maledire l'epoca in cui si viviamo, celebrando e osannando le precedenti, sulla base di scarne certezze e poca voglia di trarre il meglio dai nostri tempi. E siccome sono fermamente convinto che si debba fare il contrario, come ho peraltro già accennato in passato, evidentemente persino l'asfalto diventa interlocutore e maestro, nell'esatto punto in cui si poggiano i miei occhi prima che lo facciano i miei passi. Non trovo casuale (cosa lo é, dopotutto?) il fatto che sia proprio l'asfalto ad accomunare le foto di cui parlavo, e che ho raccolto qui sotto. Una distesa piatta e grigia é evidentemente qualcosa di molto lontano dal bianco più puro, tanto da diventare per antonomasia quel che copre la vita, la spontaneità dei secoli, le molteplici sfumature del paesaggio. Ma grazie a queste foto (e agli istanti che rappresentano) ci ho visto altro, ovvero un palcoscenico per scene teatrali e potenti, metafore del nostro stesso passaggio su questa Terra. Il tutto rimane un mistero: il perché nasciamo, muoriamo, stiamo bene, stiamo male. Ma accettare la vità così com'é rappresenta la vera porta di accesso per capire il denso e profondo significato del nostro percorso. Su questo stesso asfalto non siamo i soli a nascere, tendendo fragili verso la luce... oppure ad aprire gli occhi verso ogni nuovo giorno che ci é concesso, raccogliendo i frutti di qualche scampolo d'infanzia passata di li. Non siamo i soli nemmeno a nutrirci di incontri, seppure in molti siano convinti di volerne (e poterne) fare a meno. Ma è inevitabile incontrarsi, condividere spazi e tempo... non meno inevitabile della chiusura del sipario. Insomma cenere e asfalto, come altri del resto, nascondono molto di più che l'apparente irreversibilità dei loro effetti. Con mia enorme (!!) sopresa, riscopro proprio ora di aver scattato questa foto esattamente 3 anni fa, nello stesso angolo di mondo a cui appartengono le precedenti foto. Non é cambiato nulla nel mondo in cui vivo. E' cambiato molto nel modo in cui vivo. ITA only liberamente ispirata da una metafora ascoltata da un grande maestro - Mi hanno detto tante volte di "non pensarci", di concentrarmi su altro, per distrarmi da un problema. Da bimbo forse non capivo nemmeno cosa volesse dire, ora lo capisco ancora meno. Allora bastava andare a giocare, un'attività che non richiedeva alcun apprendimento: un pallone, delle macchinine o dei gavettoni e tutto andava come doveva andare. Col passare degli anni, ho imparato materie, argomenti, tecniche e strumenti per stare a questo mondo come la maggior parte di noi vuole che ci stia, ma ad un certo punto ho smesso di cogliere la spontaneità con cui l'entusiasmo più puro faceva breccia nei miei movimenti da bambino. Da una mezza dozzina d'anni, le montagne e qualche pratica venuta dall'oriente mi hanno faticosamente riportato sulla strada giusta, ma ci é voluto molto e ancora ce ne vorrà. “È facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta dolcezza l'indipendenza della solitudine” (Ralph Emerson) È un meccanismo molto bizzarro quello per cui l'adulto si ritrova a faticare come un matto per ritrovare quel che in realtà già ha sperimentato qualche decennio prima. A dirla tutta, a volte bastano pochi anni di studio imposto per dimenticare il sapore dello stupore. Il copione della vita sa essere molto perfido e impegnativo: la purezza di un cristallo ci viene mostrata in tenera età, quando ancora siamo completamente aperti a godere della meraviglia. Questo cristallo va poi a ricoprirsi di polvere ed incrostazioni coi depositi dell'esperienza, delle convenzioni sociali e delle discutibili convinzioni su cosa è importante e cosa non lo è. Ed è così che, più o meno lentamente, iniziamo a divergere, ad allontanarci dal centro, come un satellite che sfugge all'orbita una volta raggiunta la velocità di fuga. Per qualcuno non c'é punto di ritorno, il cristallo é troppo sepolto ormai, e la distrazione è tale che anche nell'eventualità dovesse apparire, la sua purezza non verrebbe notata. Per altri c'é un punto di svolta in cui si inizia a provare a ritrovare il sentiero, con pratiche dalle più semplici alle più esoteriche. Solo alcuni, però, riescono a far breccia nella nebbia della confusione, e tornano testimoni (consapevoli) di quei momenti di sublime estasi, che non si possono né generare nè afferrare, ma soltanto assaggiare. Sono, questi, momenti di rara limpidezza, dove le parole non bastano più per racchiudere una sensazione nel recinto di una descrizione. Tante (troppe?) tecniche arrivano a noi promuovendosi come strumenti infallibilii per aiutarci a "vedere" quei momenti, e probabilmente alcune funzionano pure, a patto di perseverare e praticare con costanza, perchè i vari passi diano i loro frutti. Ma le tecniche più affidabili, io credo, sono quelle che celebrano anche l'immediatezza e la profonda attualità/accessibilità di quell'essenza da (ri)sperimentare, e non solo l'ostico percorso che ad essa conduce. Come dire: allenati sì per correre fino al traguardo, ma sapendo che il traguardo è già qui. Forse non c'è nemmeno un traguardo, di certo non nell'accezione a cui siamo abituati: la competizione è decisamente estranea alla ricerca dell'innocenza. "Non darmi amore, non darmi fede, nemmeno saggezza oppure orgoglio, dammi l'innocenza piuttosto" (da "The Crow, the Owl and the Dove" - Nightwish) Quel che dobbiamo vedere é pardossalmente già davanti ai nostri occhi, solo non sappiamo indicarlo con precisione. Dobbiamo diventare come "bambini, nel nostro petto", come ho letto da qualche parte. Provate a chiedere a un pesce di indicarvi dov'è l'acqua: una vita passata a nuotarci dentro non lo rendono ancora in grado di puntare il dito (o meglio, la pinna) verso qualcosa di univocamente identificabile, in quanto "tutto attorno". La metafora funziona bene anche per noi, sbaglia solo nella direzione: per il pesce è tutto attorno, per noi è tutto dentro. Tutta questa impossibilità di indicare e produrre quei momenti, genera una certa frustrazione, in me per primo, ma sono convinto (e mi hanno insegnato) che prima si sposta l'attenzione dal controllo all'osservazione, e prima ci apriamo a quegli attimi di estrema chiarezza. Se è vero che possiamo solo essere testimoni di questi istanti senza poterli generare e afferrare, è altrettanto vero che il nostro corpo sa ricordare bene quel che ha provato in quei frangenti. Sono spesso frazioni di secondo, dove i sensi trovano un altro campo di applicazione, portando a noi sapori e odori senza che lingua o naso vengano realmente stimolati. Sono queste effimere tracce ad incidere ricordi che diventano riferimenti, àncore da gettare in mare quando la nostra navigazione si farà più turbolenta. Come mare mosso dal vento, la vita si adatta e si adagia come un lenzuolo sul nostro corpo, prendendo forme e movenze di un'esperienza sostenuta dal respiro e decorata di emozioni. Un'esperienza che anela a trovare rifugio nel lasciare andare, con lo sguardo spesso all'insù, a guardare quei due lembi cotonosi di cumuli di bel tempo, che lentamente nascondono quello sprazzo di azzurro che è già da dimenticare. - -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
"Ho detto alla mia anima di stare ferma, e di stare ad aspettare senza sperare. Perché sperare sarebbe sperare la cosa sbagliata; Di stare ad aspettare senza amore. Perché l’amore sarebbe amore per la cosa sbagliata; Ma resta ancora la fede. Ma fede e amore e speranza sono tutte nell’attesa. Aspetta senza pensare, perché non sei pronto per pensare. E allora l’oscurità sarà luce, e l’immobilità danza" (da "East Coker" - T.S. Eliot) (ita only) liberamente ispirata da alcuni fiori a Sepang (Malesia), ma adatto a descrivere molti luoghi del mondo contemporaneo. - se un fiore avesse voce Una stiracchiata ai petali, e anche questa giornata può iniziare. Dev'essere uno di quei cinque giorni che terminano in "-dì", in cui tutto sembra essere frenetico (senza motivo) nel vostro ritmo quotidiano. Vi guardo spesso, nelle vostre corse per arrivare in orario, spesso con bagagli al seguito verso chissà dove. Qualcuno di voi di rado si avvicina e mi guarda, mi ammira con un accenno di sorriso appeso tra malinconia e stupore. Qualcuno persino mi sfiora col naso, per scoprire il mio lato piu intimo e nascosto. Lo fate spesso con discrezione e solenne rispetto, lo stesso atteggiamento con cui i veri gentiluomini osservano la scollatura sensuale di una donna. Ci sono due modi in cui mi piace vedervi chiudere gli occhi: l'uno è assonnato, l'altro è consapevole. Ci sono due modi in cui mi piace vedere che li aprite: l'uno è assonnato, l'altro è colto da meraviglia. Siete sempre in movimento e anche quando siete fermi, siete sovente da un'altra parte. Quando vi sedete a quel tavolino d'estate, ingurgitate cibo quasi senza rendervi conto di cosa ci sia nel piatto. Siete goffi e un po' patetici a tratti, scusate la schiettezza, come quando andate a sbattere camminando perchè troppo immersi nello schermo luminoso che tenete in mano. Eppure... siete fiori tanto quanto me, ma solo alcuni di voi provano a sbocciare: vi vedo, sapete? C'è chi gratta della sporcizia con l'unghia con l'eleganza di un passo di danza, chi presta attenzione al rumore croccante della neve sotto i piedi, e chi, dopo lo schiaffo ricevuto dalla ragazza, rimane fermo qualche secondo per lasciar scorrere ogni impulso aggressivo: sa che non vale la pena reagire. Sono questi piccoli gesti a contare nella vita: non certo la carriera, una bella casa, essere stati nel Grand Canyon. Nella mia breve vita, trovo gioia e agio nella concentrazione che la precisione richiede, nella lentezza della semplicità: l'ovvio non è banale ma essenziale! Finchè arriva quel giorno, dove cado (o volo?), la bellezza sembra finire. Ma così è la vita, anche la vostra. Arriva il momento in cui dovrete abbandonare tutto, e se avrete usato la vostra vita per allenarvi, non sarà per nulla doloroso, anzi. Ci si scompone, tornando all'origine che forse non abbiamo mai lasciato, come un accordo che torna arpeggio, pur essendolo sempre stato. Non so quanto resterò su questo freddo e umido suolo, ma spero abbastanza per strappare ancora qualche sorriso e qualche frugale manifestazione di meraviglia. Perchè se c'é una cosa che ho capito, é che in ogni gesto dimora un'occasione di purezza autentica, e ogni momento diviene un tempio per celebrarla. ITA then ENG, after the pictures - Nel mio girovagare tra libri e registrazioni su temi a me cari, mi sono imbattuto in una potente domanda seguita da un'affascinante ed articolata risposta. La domanda coinvolge un tormento che forse molti condivideranno, ovvero come conciliare la non verbalità di alcune esperienze (come la meditazione o la contemplazione) con il "mezzo" con cui questo tipo di strumenti ed insegnamenti arrivano a noi, ovvero le parole. La riposta é stata formulata, in un seminario, da una persona da un lato completamente immersa in questi temi e dall'altro molto attiva nel tradurre testi antichi e quindi nella scelta delle parole più adeguate per trasmettere concetti antichi da risvegliare oggi. Ho voluto mettere tutto per iscritto, perché dall'apparente complessità dell'argomento, esce un pensiero meravigliosamente semplice molto in linea con la mia idea di vita. -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.- Domanda <<Come trovi un equilibrio nella tua ricerca, tra l'uso di linguistica e costrutti mentali e la conoscenza non-verbale della pratica?>> Risposta <<La risposta più onesta è che si tratta di uno sforzo ancora in corso. Tuttavia, non vedo questi due temi come disparati o appartenenti a sfere diverse. Una delle cose che mi ha sempre turbato dell'ambiente accademico occidentale, é l'idea dell'oggettività, l'idea che tu -lo studente- debba tenere una debita distanza dal soggetto che stai studiando, senza infettarlo coi tuoi pregiudizi, predilezioni, desideri o convinzioni, così da vederlo chiaramente e oggettivamente per quello che realmente è. E questa è una delle ragioni per cui non ho mai cercato di ottenere una laurea universitaria in alcunché, perché non mi piace quel tipo di ambiente, non voglio separarmi in quel modo, non voglio quella distanza esistenziale. Per me il coinvolgimento con quei testi, e parlo soprattutto dei vecchi testi Pali e anche di qualche testo Chàn in cinese, risiede nel voler entrare in un dialogo vivente con loro, voglio percepire che questi testi stanno realmente affrontando la mia condizione, mi parlano, mi mettono alla prova e mettono in gioco me stesso in modo da cambiare il modo in cui penso di vivere. E se provo a mettere in pratica queste strategie, quando torno a quei testi, mi appaiono cambiati. Per me la bellezza di queste cose molto semplici, come queste Quattro Nobili Verità, è che puoi tornare da loro e scoprire strati sempre più profondi di intuizione, perché sono una parte integrante della tua pratica. Se non avessi cercato di trasformare te stesso rifacendoti a quel che questi testi dicono, allora sì, probabilmente diverrebbero più o meno statici, sarebbero puri oggetti di interesse filologico, ma non ho intenzione di entrare in questo tipo di relazione con loro. Il mio approccio è, senza vergogna, soggettivo, sono interessato a come questi testi possano affrontare e cambiare una vita umana e quindi trovo che la mia pratica, diciamo quando sono in un ritiro di meditazione e provo a coltivare la concentrazione e la consapevolezza eccetera, sia la parte integrante di un dialogo in corso o di una conversazione con una tradizione che arriva a me con la mediazione di parole e testi. Sono ovviamente quel che si direbbe un "tipo intellettuale", non voglio farvi credere altrimenti, e sono spesso contrariato quando gruppi buddisti mostrano a priori un approccio anti-intellettuale ("non ho interesse per la teoria, voglio solo concentrarmi sulla pratica"). Uno degli episodi che mi ha reso chiaro questo aspetto, viene da molti anni fa, quando ancora studiavo in Svizzera in un monastero tibetano. Un vecchio Lama Mongolo stava insegnando un argomento molto asciutto, la logica buddista - posso garantire che si tratta di roba davvero noiosa, ovvero "come funziona il sillogismo" - e alla fine del corso un ragazzo disse: "Maestro, perché dobbiamo studiare tutta questa teoria? Perché non possiamo fare più pratica?" e la sua risposta fu "se davvero sapessi come studiare, allora staresti già praticando" e questo è quello che è rimasto in me, come un faro verso una visione più chiara. Per me lo studio è pratica. La pratica non è riducibile a qualcosa di puramente non verbale o non intellettuale. Se pensi alla parola pratica ("bhavana" é la parola Pali che meglio descriverebbe questo concetto), tutto l'Ottuplice sentiero dev'essere praticato, coltivato, dato alla luce, realizzato. Non si tratta di ridurre la pratica ad una cosa e contrapporre le altre parti della nostra esistenza ad essa. Al contrario, si tratta di estendere il concetto di pratica, per infondere e abbracciare tutti gli aspetti della nostra vita così che tutta la nostra vita diventi una pratica. E così diventiamo umani praticanti. Essere umani diventa la nostra pratica>> Pittura e meditazione - Nepal - 2018 Painting and meditation - Nepal - 2018 -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.- ENG In my wandering through books and recordings on what I consider to be special subjects, I came across a powerful question followed by a fascinating and well-structured answer. The question deals with a struggle that many people might share, namely how do we "conciliate" the non-verbal nature of some experiences (such as meditation and contemplation) with the medium through which tools and teachings on these topics get to us, i.e. words. The answer comes from a seminar, and it comes from a person who is very much involved in these subjects and even in the thorough translation of ancient related texts, to find the most suitable words to express old thoughts to be awakened today. I wanted to write all this down, as from the apparent complexity a wonderfully simple thought rises putting in words my own idea of life. -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.- Question
<<How do you balance your work using linguistic and mental constructs with the non-verbal knowing of your practice>> Answer <<The honest answer is that this an ongoing struggle. But I don't see the two as somehow operating in disparate or different spheres. One of the things that has always troubled me about the western academy, is this idea of "objectivity, that you - the scholar - are supposed to keep a nice distance from your subject matter and not infect it with your own prejudices or biases or longings or beliefs and to see it clearly and objectively as it really is. And that's one of the reasons I've never done a University degree in anything because I just don't like that environment, I don't want to separate myself in that way, I don't want that existential distance. To me the engagement with these texts and I'm mainly talking of early Pali and also some Chán texts in Chinese, is that I want to enter into a living dialogue with these texts I want to gain a sense that these texts are actually addressing my condition and they are speaking to me, they are actually challenging me in some way that they're challenging me to change the way I think I live, and if I try to put those injunctions into practice when I return to the texts they've changed. To me the beauty of these very simple things, these Four Noble Truths for example, is that you can keep going back to them and you can keep recovering deeper layers of insight because they are an integral part of your practice. If you didn't seek to transform yourself in terms of what these texts are saying, then they would probably remain more or less static, they would just be objects of philological interest, but I'm not willing to relate to them in that way, my approach is unashamedly subjective, I'm interested in how these texts can address and change a human life and so I find that my practice, let's say when I'm on a meditation retreat, when I try to cultivate the concentration or mindfulness and so on, that is an integral part of an ongoing dialogue or conversation with a tradition that is mediated to me through text. I'm obviously an "intellectual kind of guy", I don't want to pretend otherwise, and I feel often quite disappointed when Buddhist groups kind of have a default anti-intellectual stance, where people would say "I'm not interested in theory, I just want to do the practice". One of the things that brought that home to me many years ago is when I was studying in Switzerland in a Tibetan Monastery and we were being taught by an old Mongolian Lama and we were studying something which was incredibly dry, the Buddhist logic - I can tell you that was pretty dreary stuff, syllogism and how syllogism functions - and at the end of the course one of the students said "Geshe-la, why do we have to study all this Theory, why can't we do more practice?" and his answer was "If you really knew how to study you would be practicing" and that's remained with me as a real beacon of insight. To me study is practice. Practice is not reducible to something purely non-verbal or non intellectual. If you think about the word practice ("bhavana" would be the closest word in Pali), the whole of the Eightfold path is to be put into practice, cultivated, brought into being, realised. It is not a question of narrowing practice to one thing and then setting other parts of your life in opposition to it. It's a question of how can we extend the concept to practice, to infuse and embrace all aspects of our life so that our whole life becomes a practice. We've become practicing humans. Being Human becomes our practice.>> ITA then ENG L'essere umano, che progetto sublime. Una creatura sofisticata. Se apro gli occhi, osservo tutti voi, se li chiudo, posso contemplare me stesso. Quella che segue è una piccola collezione di frasi relative a questo argomento e che mi hanno ispirato negli ultimi mesi/giorni. Come disse Karl Kraus <<L'aforisma non coincide mai con la verità: o è una mezza verità o è una verità e mezza>>, ma è spesso un privilegiato trampolino da cui saltare: in palio un tuffo nella culla dell'infinito. - (foto scattate a Schönenbuch (CH), giugno 2018) -.-.-.-.-.-.-.- ENG A human being, what a sublime project. A sophisticated creature. If I open my eyes, I can observe all of you. If I close them, I can contemplate myself. Here below, I listed a few aphorisms related to this subject that have inspired me over the last months/days. As Karl Kraus said, <<An aphorism never coincides with the truth: it is either a half-truth or one-and-a-half truths>>, but it often serves as a privileged diving board: the possible award is a dive in the cradle of the infinite. - (Pictures shot in Schönenbuch (CH), June 2018) -.-.-.-.-.-.-.-.- La nostra visione apparirà più chiara soltanto quando guarderete nel vostro cuore. Chi guarda all'esterno sogna, chi guarda all'interno si sveglia. Your vision will become clear only when you look into your own heart. Who looks outside, dreams; who looks inside, awakes. - C.G.Jung Qua in questo corpo sono i sacri fiumi; qua sono il sole e la luna, oltre a tutti i luoghi di pellegrinaggio. Non ho mai incontrato un altro tempio benedetto quanto il mio corpo. Here in this body are the sacred rivers. Here are the sun and moon. As well as all the pilgrimage places. I have not encountered another temple as blissful as my own body. - Saraha Doha Nella vita il compito principale dell'uomo è dare alla luce se stesso Man's main task in life is to give birth to himself - Erich Fromm È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi It is very simple. It is only with the heart that one can see rightly; What is essential is invisible to the eye. - Antoine de Saint-Exupéry -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.- .
(ITA then ENG, after the picture) Una delle cose che ho sempre sostenuto è che non bisogna ritirarsi come dei monaci o viaggiare lontano per raccogliere importanti insegnamenti. Quella che segue, è una breve lista di momenti in cui, nella più genuina quotidianità, straordinarie verità hanno illuminato a giorno il mio volto sorpreso. Sforzatevi di immaginare la sferzante imprevedibilità con cui queste frasi sono arrivate, come tuoni travestiti da tintinnii. - Il prezioso silenzio Una passeggiata tra amici sulla neve. Una mamma fa una domanda alla sua piccola figlia che, svogliata, non risponde. La madre accetta la mancata risposta e, calmissima, replica: <<Non è un problema se non vuoi rispondere. Il silenzio non è mai tempo perso>>. Le ingannevoli aspettative Mentre ero intento a scattare una delle foto che ho pubblicato in questo articolo, una signora ha voluto dirmi: <<Sarebbe interessante vedere se alla fine la foto viene come avevi sperato>>. La signora riprese a camminare. Aveva percorso solo pochi metri sul sentiero, mentre io avevo già esteso quella frase a ogni cosa. Innocua dolce libertà Aspetto il tram. Ancora pochi minuti e finalmente sarò a casa. Un uomo si avvicina a me, maglietta bianca e sporca, lattina di birra in mano, talmente ubriaco che non poteva che dire una dolce verità. <<Aaaaahhhh!!>> sospira beato e sollevato <<Quando sei incatenato è brutto, ma quando sei libero è bello. Che bella la libertà. Ma l'importante è non fare male a nessuno>>. Salgo sul tram, lui se ne va, blaterando la sua prossima destinazione, molto probabilmente né un tram, né una pensilina. La perfezione dei dettagli Qui si va indietro nel tempo, una domenica mattina di 10-15 anni fa. Il nonno era venuto a pranzo, non era ancora pronto da mangiare e si stava godendo una camminata nel nostro bellissimo giardino. Gli piaceva tantissimo! Mi avvicinai e mi disse: <<Guarda quel filo d'erba, minuscolo e perfetto. L'uomo non saprebbe fare una cosa simile, solo la natura riesce a mettere così tanta perfezione in uno spazio così piccolo>> - Questi fugaci momenti rimarranno incastonati come diamanti nella proverbiale confusione della mente, come enigmatici koan per principianti al servizio del mio risveglio più profondo. -.-.-.-.-.-.-.-.- "Dove meno te lo aspetti" (Intarsio di legno in un tempio buddista) "Where you least expect it" (inlay work on wood in a buddist temple) - (Mangal Dharmadweep Mahavihar, Bhaktapur, Nepal - 05/2018) -.-.-.-.-.-.-.- (ENG)
I have always believed that there's no need to become a monk or to travel long distances to harvest important teachings. The list that follows aims to show very short moments where, in the most genuine routine, extraordinary truths illuminated my astonished face. Try to imagine the lashing unpredictability with which these sentences arrived, like thunders dressed up like clinks. - Precious silence A walk with friends, on the snow. A mum asks something to the small daughter who, unenthusiastic, does not say anything. The mother accepted the missed answer, thus replying: <<That is not a problem. Silence is never wasted time>>. Deceptive expectations While I was shooting one of the picture I posted here, a woman wanted to tell me: <<It would be interesting to see if the picture really matches your expectiations>>. The woman walked away. By the time she was only few meters away, I had already extended her sentence to everything. Sweet harmless freedom I'm waiting for the tram. Just a few minutes and I'll be home. A man comes closer: white dirty t-shirt, a beer can in his hands, so drunk that ho couldn't say anything less than a sweet truth. <<Aaaahhhhh!!>> he sighs relieved and blessed <<When you are enchained, it's not pleasant at all. But when you are free, it's wonderful! Freedom is so beautiful. Though it's important not to harm anybody >>. I get in the tram, while he leaves, towards his next destination, most likely neither a tram nor a bus shelter. Perfection in the details Here we go back in time, on a sunday morning, 10-15 years ago. My grandpa came for lunch. The food was not ready yet, so he was enjoying a walk in our beautiful garden. He really loved these moments. I joined him and got closer. He then told me: <<Look at that grass blade. A man would not be able to reproduce such a thing, only nature can put that amount of perfection in such a small space>>. - Those fleeting moments will remain set like diamonds in the proverbial confusion of our mind, like enigmatic koan for beginners, at the service of my most deep awakening. ITA, then ENG after the picture --- Non sono mai stato in Giappone, ma molto spesso ho avuto modo di rimanerne affascinato a distanza. Due parole, coi rispettivi concetti, hanno contribuito a tutto questo: - Ikigai: parola che indica la "ragione per cui ci si alza dal letto al mattino", la ragione della propria esistenza. - Kintsugi: letteralmente "riparare con l'oro", una pratica che consiste nell'utilizzo di oro o argento liquido o lacca con polvere d'oro per la riparazione di oggetti in ceramica. A volte ho l'impressione di conoscere il mio Ikigai, per quanto sarebbe molto complicato descriverlo con delle parole. Altre volte lo perdo di vista, e assaporo il vuoto che questo comporta, altre ancora credo di averlo trovato ma non riesco ad afferrarlo, quasi asintoticamente. La forma d'arte del Kintsugi, dal canto suo, si fa metafora della potenzialità di crescere, evolvere, grazie alle fratture e alle lacerazioni, strumenti di ricerca per ritrovare l'unità col tutto. Da qualsiasi parte mi giri, e chiunque incontri, questi temi arrivano travestiti da carezze sulla guancia o da frecce nella schiena, dando un senso, sempre, a tutto quanto. Recito in uno spettacolo di cui sono privilegiato spettatore, e non mi resta che inchinarmi all'esistenza. ------ "Mi sono fatto eremita per liberarmi di tutta la polvere e lo sozzume del mondo, cercando la perfezione sull'opposta sponda. Ma ho capito che era impossibile raggiungerla senza amare persino l'immondizia, la polvere del mondo e l'angoscia della vita. La perfezione si puo' raggiungere attraverso l'accettazione di tutte le cose. Se da un lato è semplice combattere la realtà e il destino, dall'altro amarli è molto difficile. Che mondo di bellezza è questo quando impari come amarlo! L'universo in nessun modo è imperfetto. [...] Le montagne, i fiumi, le piante, l'universo. Qui e là tutto è rinchiuso nello stesso recinto. Partire è arrivare. Arrivare è partire. Non soffia forse il vento, come gli pare, in ogni direzione? Mentre il mio corpo torna alla sua condizione originale, il sangue e il pus delle mie ferite cadranno dal cielo come rugiada di notte. Dopotutto, Non esisto altrove nell'universo. Ma nell'universo, non c'è nulla che non sia io." - Dal film: "Perché Bodhi Dharma è partito per l'Oriente?" (1989) ENG I've never been to Japan, although I often had the chance to get fascinated by it, despite the distance. Two words, with the relevant concepts, contributed to all this: - Ikigai: a word that means "a reason to wake up in the morning", the reason of your existence. - Kintsugi: art of repairing broken pottery with lacquer dusted or mixed with powdered gold, silver, or platinum Sometimes I have the feeling that I grasped my Ikigai, for how difficult it would be to put it into words. Some other times I loose it, and I taste the emptiness that this brings, while in some situations I feel I found it but I cannot touch it, almost asymptotically. The art of Kintsugi, for its part, becomes metaphor of the potentiality of growing, evolving, thanks to the fractures and lacerations, research tools to be again united with everything else. Wherever I turn my head to, and whoever I meet, these topics get to me dressed in caresses on my cheek or in arrows in my back, in any case giving a deep meaning to everything. I play in a show of which I am a privileged spectator, and all I can do is bow to existence. ---------
"I became a hermit to free myself from the dust and the dirt of the world, looking for perfection on the other shore. But I realized that it was impossible to achieve it without loving even the garbage, the dust of the world, and life's anguish. Perfection can be achieved through embracing all things. While it is easy to fight against reality and fate, it is difficult to love them. What a beautiful world when you know how to love it! The universe is by no means imperfect. [...] Mountains, rivers, plants, universe. Here and there everything is in the same enclosure. To leave, is to arrive. To arrive, is to leave. Doesn't the wind blow as it wants in all directions? As my body returns to its original condition, blood and pus from my wounds will fall as dew from the night sky. After all, I exist nowhere in the universe. But in the universe, there is nothing which is not me." - From the movie "Why Has Bodhi-Dharma Left for the East?" (1989) |
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